La colpa della sinistra: essere antipatica

settembre 2, 2005


Pubblicato In: Articoli Correlati


di Dino Messina

Senso di superiorità e linguaggio oscuro nell’autocritica di uno studioso schierato

Si racconta che quando Dio creò il mondo concesse a ogni popolo due virtù perché potessero prosperare: fece gli svizzeri ordinati e rispettosi delle leggi, gli inglesi perseveranti e studiosi, i francesi colti e raffinati, gli spagnoli allegri e accoglienti, ma quando arrivò agli italiani disse: «Gli italiani siano intelligenti, onesti e di Forza Italia». All’angelo che gli faceva notare di averci assegnato tre virtù invece di due il Signore rispose: «È vero, però ogni persona non potrà averne più di due». Fu così che l’italiano che è di Forza Italia e onesto non può essere intelligente. Colui che è intelligente e di Forza Italia non può essere onesto e quello che è intelligente e onesto non può essere di Forza Italia.

Questa feroce barzelletta politica che circola su Internet ci dice quanto forte e radicato sia il pregiudizio politico verso gli avversari non solo fra i dirigenti e gli intellettuali ma anche fra molti militanti della sinistra. E più di tante analisi sociologiche ci fa sentire il senso di supponenza morale verso l’elettorato che non pochi dispiaceri ha provocato agli avversari di Berlusconi e della Casa delle Libertà. A raccontarla è Luca Ricolfi nel suo nuovo e spietato saggio, Perché siamo antipatici. La sinistra e il senso comune, in uscita l’8 settembre da Longanesi.
Come si capisce dalla prima persona plurale del titolo, l’autore, docente di Metodologia della
ricerca psicosociale all’Università di Torino, è dichiaratamente di sinistra, ma nonostante la recente affermazione alle regionali non dà per scontati i prossimi risultati. Le recenti competizioni politiche dimostrano che solo il 3 per cento del corpo elettorale passa da una parte all’altra: lo studioso è convinto che lo scongelamento dell’elettorato di destra sia più difficile a causa di un morbo sottile che accomuna militanti, intellettuali e politici di sinistra: l’antipatia. Una malattia all’apparenza meno devastante ai fini del consenso degli evidenti difetti della destra, dal conflitto di interessi del premier all’incapacità di esprimere un’adeguata classe dirigente a livello nazionale e locale, ma più subdola e difficile da estirpare.
Ricolfi ha individuato quattro agenti patogeni dai quali la sinistra dovrebbe liberarsi al più presto se vuole davvero tornare al governo. Il primo vizio, codificato da Luciano Gallino come «preferenza degli schemi secondari», è un’eredità della cultura marxista che per oltre un secolo si è esercitata ad addomesticare la realtà ai propri schemi. Oggi l’abuso degli «schemi secondari» si manifesta attraverso l’ossessione della cornice. L’intervento delle nostre truppe in Iraq è duramente criticato, ma «per Rutelli e Fassino un’eventuale vittoria di Kerry cambierebbe la cornice, e quindi il senso stesso della guerra». Alcune misure economiche del governo Berlusconi, come l’aumento delle pensioni minime o l’aumento della no tax area, sarebbero in perfetta sintonia con la politica di sinistra, che però le critica «perché non inserite in un quadro di crescita e di sviluppo».
Il secondo agente patogeno è la prevalenza del «politicamente corretto». Una rivoluzione del costume che ha cambiato radicalmente la dialettica pubblico-privato. Prima del ’68 il discorso pubblico doveva essere misurato, educato, mentre nel privato le parole tornavano a essere vicine alle cose. Oggi la situazione è rovesciata: i leader di successo, da Pertini a Cossiga, da Wojtyla a Berlusconi, possono essere spigliati e irriverenti, mentre nel nostro privato c’è una grande attenzione a non urtare la suscettibilità del prossimo. SecondoRicolfi la sinistra non ha saputo cogliere l’occasione di questa rivoluzione e «ha alimentato la caccia alle streghe sul terreno della lingua», accusando la destra di «deriva populista ed esonerando se stessa da qualsiasi imperativo di cambiamento ». La sinistra insomma è rimasta legata a una
vecchia forma di linguaggio pubblico, o peggio continua a coltivare, con le eccezioni minoritarie dell’Italia dei valori, dei radicali e dei girotondini, il «linguaggio codificato» e poco chiaro della Prima Repubblica. È questa la terza malattia della sinistra: un’oscurità del messaggio che irrita non soltanto gli avversari ma spesso gli stessi elettori di sinistra.
Come esempi negativi Ricolfi cita le interviste in cui Rutelli e Fassino fecero il verso alle «tre
I» del programma elettorale del 2001 di Berlusconi: I come Inglese, I come Informatica, I come Impresa. A queste tre parole, criticabili ma concrete, Rutelli rispose in un’intervista a Repubblica così: «Facciamo della qualità italiana una delle missioni fondamentali del Paese: le “tre I” di Italia, identità, innovazione». Commenta Ricolfi: «Qualcuno vorrà davvero credere che a una persona normale le “tre I” del centrosinistra possano far venire in mente qualcosa, dico qualcosa di concreto, che faccia capire che cosa un eventuale governo di centrosinistra farebbe?». E che dire delle «tre G» di Fassino? «G come Genti, G come Generi, G come Generazioni». Una «paralisi del significato che avvolge un po’ tutto, e per anni ha inibito persino la scelta di un nome per definire il centrosinistra»: si è passati da Progressisti a Ulivo, Uniti nell’Ulivo (Triciclo), Federazione dell’Ulivo (o Fed), Nuovo Ulivo, Grande Alleanza Democratica (o Gad), Alleanza, Unione per la Democrazia, infine Unione. L’oscurità del linguaggio è insieme un lusso e un vizio che nella Seconda Repubblica non è consentito.
L’elettore in un sistema polarizzato vuol sapere quali programmi esprimono la destra e la sinistra.Ma quest’ultima, osserva Ricolfi, è incapace di rispondere a domande precise. Non certo per mancanza di preparazione dei leader, ma perché risposte precise scontenterebbero i «galli» dello schieramento: ciò che andrebbe bene a Mastella sarebbe bocciato da Bertinotti.
Ecco che oscurità e disprezzo per il senso comune servono non a confondere il nemico ma a
circondare l’alleanza di una cortina fumogena, a non far allontanare gli amici. E veniamo alla quarta malattia, la più grave, il senso di superiorità morale. Alcuni leaderma anche molti intellettuali e militanti della sinistra sono davvero convinti di rappresentare la parte migliore del Paese e si pongono verso gli avversari, non solo Berlusconi, ma l’elettorato di destra, con un atteggiamento di supponenza che non aiuta certo a recuperare consensi. Anche qui l’autore non ha avuto difficoltà a trovare esempi. Anzi il suo punto di partenza è un articolo che Umberto Eco scrisse alla vigilia delle elezioni del 2001. Eco presentava il voto del 13 maggio
come «un referendum morale» e poi si dilungava «in un’approfondita dissezione dell’Elettorato della Casa delle Libertà. Esso sarebbe stato suddiviso in due segmenti principali, Elettorato Motivato ed Elettorato Affascinato ». Da un lato dunque leghisti deliranti e imprenditori ricchi ed egoisti, quindi irrecuperabili, dall’altro persone ingannate, traviate e diseducate da decenni di televisione. Persone che probabilmente non hanno mai letto la Costituzione e non sanno cos’è l’Economist, ma che certo non amano essere trattati con sufficienza e guardano con diffidenza alla Missione del dotto, titolo di un saggio di Fichte del 1794 che lo stesso Eco ha di recente riportato all’attenzione del pubblico. Ricolfi invita dunque la sinistra a riflettere sui
propri errori e a raccogliere la sfida lanciata da Berlusconi, che ha fatto della concretezza un’arma per il successo, anche se è spesso caduto in macroscopiche contraddizioni e ha mostrato di non conoscere la virtù dell’understatement morale. La sua chiarezza è un’arma a doppio taglio perché consente di contestargli facilmente gli errori e le promesse non mantenute. Ma la gente apprezza la sua vicinanza al senso comune e nello stesso modo apprezzerebbe un linguaggio chiaro della sinistra.

Invia questo articolo:
  • email
  • LinkedIn



Stampa questo articolo: