L’antiamericanismo più insidioso non è nelle piazze, ma nei governi

marzo 23, 2003


Pubblicato In: Giornali, Il Riformista

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È miope la scommessa di Chirac

Non vedo un movimento pacifista animato da un sentimento antiamericano specifico, distinto cioè dal generico anticapitalismo no global: in questo sono d’accordo con Gianni Cuperlo. Era evidente che il gioco dei rinvii orchestrato dalla Francia all’ONU di fatto levava ogni forza di dissuasione alle truppe angloamericane dispiegate in Medio Oriente, lasciando solo l’alternativa tra essere umiliati o attaccare, e che quindi, pur senza ONU, un europeo non avrebbe avuto alternativa allo schierarsi dalla parte degli USA; è del pari evidente oggi che l’alternativa è solo tra una rapida vittoria con le attuali regole di ingaggio, o una sanguinosa escalation.

Ma mi sembra che l’incapacità dei manifestanti per la pace di trarre queste conseguenze razionali dal concatenarsi degli eventi, e la pulsione ad opporvi “l’estrema semplificazione” dello slogan “fuori la guerra dalla storia” siano spiegabili anche senza invocare l’antiamericanismo.

Interrogarsi sul tasso di americanismo, magari distinguendo tra i vari cortei, potrebbe attardare la sinistra di governo in una battaglia di retroguardia, distraendola dal confrontarsi con il problema politico: verso quali obbiettivi dirigere il paese in un mondo rimasto unipolare, e con quali alleati. Le teorie elaborate dai falchi dell’American Entreprise Institute e dei think tank conservatori dopo il collasso del potere sovietico, che per alcuni sarebbero la prova provata della premeditazione nell’attacco a Saddam, derivavano invece dalla semplice constatazione che l’essere rimasti la sola potenza militare e la maggiore potenza economica al mondo, imponeva agli USA un cambiamento radicale nella strategia. Sarebbero inevitabilmente emerse nuove e diverse minacce: contro di esse la certezza di mutua distruzione non avrebbe più offerto la garanzia come per il passato mezzo secolo. L’11 Settembre la minaccia si è materializzata sotto la forma degli aerei suicidi di New York e Washington. All’equilibrio del terrore era subentrato lo squilibrio del terrorismo.

Non solo gli USA, anche l’Europa deve affrontare la sua rivoluzione strategica. L’equilibrio del terrore aveva garantito all’Europa una difesa a costi quasi simbolici; mentre la non disponibilità degli stati a rinunciare alle loro prerogative sovrane in politica estera l’aveva preservata dal rischio di una frattura nell’unità spirituale del blocco occidentale. Giorgio La Malfa ricorda che suo padre contrastò duramente il proposito di De Gaulle di “staccare l’Europa dall’America, costituirla in blocco autonomo spezzando l’alleanza atlantica, trattare direttamente con l’Unione Sovietica”; era il 1963, quando il suo potere di veto la Francia l’usò per impedire l’entrata dell’Inghilterra nel mercato comune. La scelta di Ugo La Malfa non fu quella di diventare “un protettorato americano”. Allo stesso modo, oggi non si tratta di accettare “l’idea che l’unico ruolo consentito [sia] accodarsi alla visione attuale del premier inglese”, come teme Gianni Cuperlo. Blair è l’unico che ha provato a dare una risposta al problema dello squilibrio del terrorismo. Mi sembra che la strada che egli sta cercando, rischiando per questo tutto il suo capitale politico, vada nella direzione degli interessi dell’Italia e della sinistra. Perché trovo miope pensare che anche gli attacchi dei terroristi possano volare sopra la nostra testa, come se fossero gli ICBM della guerra fredda. Perché trovo miope, più ancora che cinico, la scommessa di Chirac di vincere su due tavoli, guadagnarsi consensi tra i nemici degli USA e al tempo stesso contenerne la potenza. Perché non vedo l’interesse dell’Italia al formarsi di un asse difensivo formato da Francia Germania e Belgio.

Per avere più peso negli equilibri mondiali, per avere una propria capacità di dare una risposta allo squilibrio del terrorismo, l’Europa deve riprendere la strada dello sviluppo, della crescita economica, e dell’innovazione sociale, bloccati dalle rigidità che proprio nell’Europa continentale sono più profondamente radicate. Questo è un obbiettivo per la sinistra di governo. Pensare di raggiungerlo in separatezza, peggio ancora in contrapposizione con la democrazia americana, sarebbe follia. A ben vedere, l’antiamericanismo più insidioso non sta nelle piazze, sta in alcune cancellerie d’Europa.

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