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Investimenti: l’Italia non gioca

Pubblicato il 11/08/1995 @ 10:36 in Giornali,La Stampa


L’emergenza Mezzogiorno, troppo spesso relegata in secondo piano, è stata oggetto negli ultimi tempi di maggiore attenzione: la proroga alle nostre inadempienze ottenuta dal ministro Masera a Bruxelles, l’approvazione della legge 244 per accelerare gli interventi in zone depresse, il nuovo piano del governo per mettere a lavoro ingenti somme non utilizzate; mentre Mastella propone di metter mano al portafogli e di lanciare un piano Marshall per il Mezzogiorno (si attende la scontata risposta di Bossi).

In questo clima non sarebbe dovuta passare quasi inosservata la notizia che la Siemens ha deciso di localizzare a Newcastle sul Tyne, nel Nord-Est dell’Inghilterra , un nuovo stabili mento di semiconduttori, con un investimento di quasi 3000 miliardi di lire, che darà lavoro inizialmente a 1000 addetti, oltre a 1800 che verranno impiegati nella costruzione. La decisione è stata presa al termine di una selezione che ha visto in lotta Dresda, l’Austria, l’Irlanda, il Portogallo e, appunto, l’Inghilterra. Questa decisione segue quelle della Bmw (acquisto della R over), della Dresdner Bank (la banca d’affari Kleinworth Benson), della Veba (partecipazione nella Cable & Wireless), di Basf, Nec, Samsung e Jaguar. Val la pena di riportare le ragioni che sono state addotte da Siemens: tra cui non figurano gli incentivi diretti all’investimento, che hanno giocato un ruolo marginale. Invece: la presenza di altre proprie unità produttive nel Paese, la disponibilità di personale con buona formazione, con capacità di apprendere (quindi la vicinanza a università tecniche), condizioni di lavoro molto flessibili (non di basso costo il lavoro contribuendo in minima parte al costo totale del prodotto); buone comunicazioni terrestri ed aeree e costi di telecomunicazioni tra i più bassi d’Europa. Determinante è stato il ruolo dell’agenzia «British Partnership», che ha agito da interfaccia unica verso le autorità centrali e locali, garantendo la realizzazione dell’impianto senza intoppi o ritardi. E noi? L’Italia, a quanto risulta, non è stata nemmeno in gara. Eppure Siemens è da tempo presente da noi, partner addirittura di Stet; eppure infra-strutture e sistema formativo, pur con tutte le loro carenze, non paiono inferiori a quelli di alcuni Paesi in lizza.
Se ci si interrogasse sulle ragioni della nostra assenza, se si capisse che infrastrutture e piani Marshall non sono fine a se stessi, che nessuna spesa vale di per sé a creare un ambiente favorevole alle iniziative, che solo le imprese sono il motore dello sviluppo, e che Paesi e regioni sono in concorrenza tra loro per assicurarsene le iniziative, forse la causa del Mezzogiorno avrebbe fatto un passo avanti.

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