Inevitabile il partito di Prodi

gennaio 28, 1999


Pubblicato In: Giornali, La Stampa


Sinedocche è la figu­ra retorica con cui «si usa figuratamente una parola di significato più ampio o meno ampio di quella propria, ad esempio una parte per il tutto, il contenente per il contenu­to».

E nominalismo è «negare agli oggetti della realtà ogni valore che vada oltre quello rappresentato dai relativi segni verbali». Così il Devoto-Oli.

Oggi chiarezza richiede di avere il coraggio di ri­nunciare alla forza comu­nicativa della figura retori­ca; di non avere nominali­sticamente paura delle pa­role, per mirare invece alla realtà delle cose.

L’Ulivo è stato il tutto: si genera un equivoco se si continua a usare lo stesso nome per un’iniziativa che vuole raccogliere il consen­so di una parte soltanto di coloro che l’hanno a suo tempo votato.

Partito è una parola scre­ditata: ma una «cosa» che raccolga consensi, che sele­zioni candidati, che si pre­senti con un proprio simbo­lo ad elezioni politiche, po­tremo chiamarla movimen­to, unione, lega, comitato, potremo sottintenderne il nome, sempre partito è, questo è il nome che la Co­stituzione dà alle libere as­sociazioni dei cittadini.

L’Ulivo non è stato un partito: il sistema politico italiano resta «una partito­crazia senza partiti», così come quello economico è ancora largamente un capi­talismo senza capitali. Di­fettano le forme organizza­tive per raccogliere ed indi­rizzare, le une il risparmio al controllo delle imprese, le altre il consenso al con­trollo del Paese. Ma se i partiti come costose mac­chine politiche dell’ultima fase degenerativa non esi­stono più, restano i loro simboli, ultime stenografi­che tracce di visioni politi­che in cui pure molti si identificarono.

Romano Prodi ha il co­raggio di costruire un par­tito, ha il realismo di rivol­gersi ad una parte dell’Uli­vo originario. Oltre alla sua capacità di suscitare entu­siasmo, può ora far leva sul timore delle formazioni mi­nori di scomparire a segui­to del referendum: fondere, e non solo raccogliere, ap­partenenze diverse appare un obiettivo raggiungibile.

L’Ulivo evidentemente era un «contenente» troppo «ampio» per tradizioni troppo distanti: lo sforzo di coalizzarle tutte per un progetto non è bastato. Fonderne una parte in un partito è, probabilmente, la strada obbligata, l’unica percorribile, verso il bipo­larismo.

In questa prospettiva; le «ragioni» di Romano Prodi appaiono destinate a ricon­giungersi, domani, con quelle di Veltroni e di D’A­lema: se oggi si rinuncia al­la retorica e non si ha paura delle parole.

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