Il vero interesse strategico di Sparkle

agosto 31, 2017


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore


Che cosa si intende quando si dice che Sparkle, la società di TIM che gestisce comunicazioni a lunga distanza, è di “importanza strategica”?
In un senso tecnico giuridico la normativa definisce strategiche le “reti di telecomunicazioni di proprietà del Ministero dell’interno, destinate ad essere impiegate nelle attività di tutela dell’ordine e sicurezza pubblica, nonché di difesa civile”, e le attività consistenti “nello studio, la ricerca, la progettazione, lo sviluppo, la produzione, l’integrazione e il sostegno al ciclo di vita, ivi compresa la catena logistica” di una serie di “sistemi e apparati”, che spettano ai Ministeri competenti: cose tutte che non hanno nulla a che fare, né con TIM in generale, né con Sparkle in particolare.

Esiste però anche un uso comune dell’aggettivo “strategico”, soprattutto quando è rafforzativo del sostantivo “importanza”. Un uso che ricorre nei contesti più vari, da quelli personali a quelli, economici e non, delle imprese, a quelli, bellici e non, degli Stati. Un uso “profano” che non corrisponde alla norma e quindi non consente di attivare discipline antiscorrerie: a meno di voler considerare “strategiche” le ferrovie, le autostrade, i porti.
Sparkle possiede e gestisce un imponente insieme di infrastrutture fisiche (450.000 km di cavi sottomarini, apparati e server in 37 paesi), collega oltre 50 Paesi per trasmettere segnali voce e dati; il suo hub, per ovvie ragioni storiche e geografiche, è in Italia. Questi collegamenti possono ben dirsi di importanza strategica, nel senso che se si interrompessero provocherebbero inconvenienti, anche gravi, a seconda dell’importanza del tipo di traffico, e della struttura della rete. I sistemi a rete, infatti, sono di solito “ridondanti”, cioè sono costruiti in modo da ovviare automaticamente a interruzioni in una loro parte. Internet, si dice, è stato costruito proprio per rendere la rete di comando USA sicura anche in caso di attacchi nucleari. Quello che qui interessa notare è che il collegamento, più o meno strategico che sia, lo è però allo stesso modo per tutti i Paesi che ne utilizzano i servizi: per l’Italia come per Israele, per l’antico collegamento con il Sud America come per quello ultimo con l’Iran.

Un discorso analogo, anche se tecnicamente assai più complesso, è quello della sicurezza del traffico voce e dati convogliato dalla rete, una sicurezza che perfino noi sappiamo di non avere: se hanno intercettato perfino il telefono della Merkel e i computer del Pentagono, figuriamoci noi. Ci si protegge criptando i messaggi, con sistemi tanto più sofisticati quanto più delicato è il contenuto. Gli utenti, tutti, esigeranno da Sparkle un livello minimo di sicurezza, non essere centrale d’ascolto per nessuno: se finora non si fossero sentiti adeguatamente garantiti, Sparkle non sarebbe diventata quello che è.
Naturalmente esiste l’autorità giudiziaria: se la magistratura italiana ordina di intercettare il traffico di una determinata utenza, un’azienda che operi in Italia, indipendentemente dalla nazionalità di chi la possiede o le gestisce, deve ottemperare, e con solerzia. E’ presumibile che esistano procedure per eseguire anche gli ordini delle autorità degli altri Paesi.

Sparkle è dunque “strategica”, ma nel senso non tecnico-giuridico del termine: deve offrire garanzia di integrità, fisica e, per quanto in suo potere, dei contenuti. Questa “strategicità” vale per tutti i Paesi serviti da Sparkle, e per tutti allo stesso modo. Se di golden power si tratta, tutti hanno lo stesso diritto di averne un pezzetto. Sentendo ora dire che l’Italia pretende di averla tutta intera per sé, si sentiranno più garantiti o meno di quanto, ad ogni evidenza, non lo siano stati finora? Quando ci chiederanno il perché di questo cambiamento, gli diremo che è a compensazione di una notifica, probabilmente neppure dovuta?

Naturalmente il fatto che tutti questi cavi passino per l’Italia e che sia l’Italia a offrire a mezzo mondo collegamenti ad ogni evidenza convenienti, contribuisce a formare il valore del nostro verso gli altri Paesi: un valore che esiste solo se l’attività è profittevole e quindi se l’azienda continua a gestirla ed estenderla. Anche questo è un valore “strategico” nel senso non giuridico: vale in generale per ogni attività industriale, che si tratti di collegamenti telefonici o di cantieri navali. Sembrano dimenticarlo a volte i governanti, quando si mettono a giocare anche loro con le figurine.

E per TIM, Sparkle ha un’importanza strategica? Certo non tanto rilevante quanto quella, vitale per tutti i carrier, di riuscire a vendere contenuti e non solo connettività. Ma un’azienda è un organismo complesso, tutte le sue parti giocano un ruolo, quelle che rendono perché consentono di comprare munizioni, e quelle che non rendono abbastanza, perché possono rendere di più, magari stringendo alleanze. Il Governo, invece di continuare a strologare come levargliene un pezzo, ha interesse che TIM continui ad essere una grande azienda. A ben vedere, a questo si riduce, il vero interesse strategico di Sparkle per il Paese: che resti dov’è.
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