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Il traguardo è ancora lontano

Pubblicato il 31/05/1993 @ 16:56 in Giornali,La Stampa


Gli ultimi mesi hanno visto il polarizzarsi dell’attenzione sui mutamenti politici che dovranno consentire la fine della prima repubblica e la nascita della seconda. Tuttavia le discussioni sulle leggi elettorali, l’urgenza di rinnovare un ceto politico, il formarsi nuove aggregazioni del consenso, non devono far perdere di vista il vero obbiettivo, un nuovo modo di funzionare delle istituzioni, in un nuovo rapporto tra cittadini e stato. Questo obbiettivo sarà raggiunto, ed in modo duraturo, solo se le trasformazioni del sistema politico si accompagneranno ad analoghe trasformazioni nel mondo economico.

Le corrispondenze sono puntuali: alla fine della democrazia bloccata e del consociativismo necessario dovranno corrispondere alleanze più libere tra strati sociali portatori di interessi economici omogenei; alla formazione di maggioranze stabili di governo dovrà corrispondere una politica di bilancio che reperisca ed allochi risorse secondo un progetto di società, e non per promettere tutto a tutti. Soprattutto al ritrarsi dei partiti dalle gestione diretta di tanta parte dell’attività economica dovrà corrispondere l’eliminazione di posizioni monopolistiche, la liberazione del mercato e la creazione di spazio per l’iniziativa d’impresa.
Sotto questo aspetto la nomina di Prodi alla presidenza dell’IRI si pone per significato politico sullo stesso piano della nomina del governatore della Banca d’Italia a capo del governo. La nomina di Ciampi sta a ricordarci che l’urgenza di procedere alla riforme istituzionali si accompagna alla necessità di riparare i danni che il sistema partitico ha portato al bilancio dello stato; e la tensione che anima il suo programma nasce proprio dal sovrapporsi di questi due obbiettivi, della contrapposizione tra le esigenze a breve e quelle di lungo periodo. Analogamente la nomina di Prodi proietta i problemi urgenti del maggiore gruppo industriale italiano sulla necessità di realizzare, attraverso le privatizzazioni e l’eliminazione delle situazioni di monopolio, l’allargamento ed il rafforzamento della struttura imprenditoriale privata. Come Ciampi non presiede solo alla liquidazione di un ceto politico, così il compito di Prodi non è solo quello di procedere alla liquidazione dell’IRI.
Nodi dell’economia, nodi della politica e loro interdipendenza sono anche il punto di partenza della relazione di Abete all’assemblea di Confindustria: entrambi propone di risolvere nella razionalità della sua proposta programmatica, là dove afferma: “il sistema bipolare è in sé finalizzato allo sviluppo”.
“L’impresa tesa ad unificare gli interessi legittimi del profitto con i vincoli dei doveri verso gli altri”: la relazione, un grande discorso di rilegittimazione, in presenza dei massimi rappresentanti e del mondo politico e di quello imprenditoriale, è tutta nello svolgimento di questa impostazione: la solidarietà come premessa allo sviluppo; i tre pilastri del risanamento economico, innovazione-formazione-internazionalizzazione; la fiscalità equa; il rientro in Europa; la fine del periodo delle sovvenzioni e degli interventi speciali; perfino il tema dell’accordo sul costo del lavoro viene spostato sul piano dell’interesse generale dalla proposta di comprenderlo in un patto sociale per il rilancio degli investimenti e dell’occupazione.
Chi potrebbe dissentire? Quello di Abete è il programma obbligato di ogni stato industriale moderno: per questo si può dichiarare indifferente ai programmi “delle due formazioni politiche o coalizioni che si affronteranno volta per volta su programmi competitivi;…. è relativamente indifferente chi governa; sarà sempre più fondamentale come governa”. È in questo senso che Confindustria si dichiara per il futuro “agovernativa”: l’indifferenza al tipo di governo deriva dalla convinzione dell’identità tra il proprio programma e l’interesse generale. “Gli esecutivi …si legittimeranno col tasso di efficienza nei risultati”: è perchè gli esecutivi non avranno altra scelta che di differenziarsi all’interno della razionalità del programma esposto, che Confindustria può fare la scelta di essere agovernativa. La classe imprenditoriale rilegittimata dalla legittimità del proprio programma, diventa agovernativa perchè ardisce proporsi come classe generale.
Oggi, a differenza di venticinque anni fa, è possibile che la razionalità di questo programma venga più largamente condivisa: ma il problema non sta nella coerenza e legittimità del programma, quanto nella distanza che ancora ci separa da quel mondo virtuoso in cui potere essere virtuosi. In campo politico c’è da fare la legge elettorale; ci sarà da provvedere al ricambio di una classe politica; a detta dello stesso on.le Segni ci andranno da 3 a 5 anni perchè possano prendere forma schieramenti che consentano l’alternanza di programmi contrapposti. Mentre, in campo economico, i nostri maggiori gruppi, IRI, FIAT, Olivetti, Ferruzzi, si dibattono in difficoltà non solo congiunturali.
Mentre Abete poteva svolgere la sua relazione e proporre un grande patto sociale, colto, come dimostra il grande applauso da cui è stato salutato, nel suo significato politico oltre che economico, ancora si credeva all’accidentalità dello scoppio di Firenze. Pochi minuti dopo la drammatica verità, l’interrogarsi su inquietanti ipotesi: un breve intervallo di tempo a ricordarci quanta grande distanza ci sia tra tenebrose irrazionalità e luminose razionalità, e quanto indifesa sia ancora questa nostra fragile speranza.

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