Il sorpasso dell’Asia

novembre 15, 1993


Pubblicato In: Giornali, La Stampa


I Dieci comandamenti di Deng Xiaoping per il rilancio dell’«economia di mercato socialista» – che poi di fatto significa «capitalismo alla cinese» – ci confermano come il mondo stia cambiando sotto i nostri occhi, sicché non è neppure scontato che alla fine del secolo l’Europa occidentale e l’America del Nord possano ancora considerarsi il centro propulsivo dell’economia del pianeta.

In vent’anni la popolazione dell’Asia è aumentata di due terzi, eppure il numero dei poveri si è ridotto di più della metà.
Alla fine del secolo, un miliardo di asiatici, pari a poco meno dell’intera popolazione odierna di Nord e Sud America più Europa, potranno permettersi di comperare alcuni beni essenziali, televisori, frigoriferi, motociclette.
Se la loro crescita continuerà allo stesso ritmo per i prossimi 20 anni, come si prevede, l’Asia avrà un prodotto superiore a quello di tutte le odierne nazioni sviluppate, rendendo più concreta la speranza di ogni essere umano di poter, avere una vita dignitosa.
Questa trasformazione, innescata dalla produzione e dall’esportazione di beni di consumo, iniziava proprio negli anni in cui in Occidente divampava la critica più radicale alla civiltà dei consumi. Il consumismo ancor oggi, e lo testimonia la recente intervista del Papa alla Stampa, viene incolpato come fonte di disgregazione morale; ma non si ricorda che lo stesso consumismo ha permesso di fare uscire centinaia di milioni di persone dall’indigenza e da secolare povertà.
Le culture orientali sono riuscite a conciliare finora crescita. economica e stabilità sociale e questo non in qualche Svizzera felice, ma su dimensione continentale, per una popolazione che nel 2000 sarà di 3,5 miliardi di uomini.
L’Asia appare a noi europei soprattutto il luogo in cui vengono delocalizzati da molte imprese i nostri posti di lavoro. Considerazione parziale, che ci induce a un errore di prospettiva verso questo fenomeno, unico nella storia dell’umanità denso di conseguenze nella vita di ogni persona che legge queste righe.
Alcuni aspetti del fenomeno disturbano il quadro dei nostri più diffusi convincimenti.
Le economie del SudEst asiatico hanno lasciato che il mercato determinasse i livelli di prezzi e di costo del capitale e del lavoro, mantenendo stabilità economica, con bassa inflazione, interessi bassi e positivi e tassi di cambio costanti. Perfino la Cina comunista è preoccupata di evitare che i programmi di sicurezza sociale possano condurre a livelli di disoccupazione europea.
Lungi dall’esibire le caratteristiche descritte da Carlo Marx, il modello di produzione asiatico ha messo in atto capacità di organizzare lavoro e capitale con produttività sorprendente, apertura a cogliere i segnali dal mercato, ad appropriarsi con tutti i mezzi (diritti, licenze di fabbricazione, investimenti esteri) delle idee, del capitale di conoscenze che circolano nel mondo. Ancora una volta si dimostra che il mondo ricco lo è perché è ricco di idee.
L’argomento più inquietante per le nostre sicurezze ideologiche è il fatto che questi successi siano stati ottenuti da governi che in genere oscillano tra un moderato autoritarismo e un autoritario pluralismo, e in presenza di lobbies potenti. Ma quei governi autoritari hanno avuto un’ambizione maniacale per la crescita e le lobbies sanno che i favori loro accordati sono subordinati al raggiungimento di buoni risultati.
Certo ci sono limiti e pericoli (tra tutti quello ecologico). Tuttavia l’Asia sembra possa continuare, per un decennio almeno, nella sua corsa allo sviluppo creando opportunità anche per noi: sembra, ed è un fatto positivo, che le industrie italiane le stiano cogliendo con rapidità e iniziativa superiori a quella dei partner occidentali, soprattutto in Cina.
Ma dall’Asia ci viene soprattutto una lezione: il suo sviluppo si basa su duro lavoro, capacità di imparare, coscienza che nulla è dato e tutto si deve conquistare: a ben vedere sono gli stessi valori su cui è cresciuto l’Occidente.

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