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Il rigore di Ciampi dilemma per la sinistra

Pubblicato il 02/07/1996 @ 13:56 in Giornali,La Repubblica


Tre fatti avvenuti negli ultimi giorni aiutano a comprendere la discussione in corso all’interno della maggioranza, sulla politica del Governo.
L’impressione, ascoltando D’Alema, è stata quella di una comprensibile soddisfazione – per i risultati europei che il Paese può conseguire – accompagnata però dal peso che ancora continua a esercitare una difficile eredità del passato.

Non si tratta più di una visione della storia ingombrante, come quella lasciata dietro le spalle sette anni fa dal pci che diventava pds. Il nodo da sciogliere sta nella persistente ambiguità di significato implicita nell’argomento centrale usato da D’Alema a giustificare l’ancoraggio europeo dei “democratici di sinistra”: «C’è in Europa oggi – ha detto – un solo partito socialista europeo, di cui fanno parte Blair, i socialdemocratici tedeschi e noi».
1. L’incontro dei rappresentanti del PDS al Governo. Tema: la necessità di non caratterizzarne la linea come ispirata unicamente al rigore.
2. Il ritardo nella presentazione del DPEF (Documento di programmazione economica e finanziaria) dovuto a un contrasto nella maggioranza e nelle forze sociali che la sostengono.
3. Infine la sconfessione di Prodi a Monti sulla manovra economica e sulle sue conseguenze per l’entrata in Europa.

Esiste dunque un problema, che non si riduce alla tattica della manovra; non è neppure in questione la scelta europea, ma come la sinistra deve interpretare se stessa, differenziarsi dalle precedenti scelte governative, restare oggi al Governo e domani- è comprensibile che sia questa la sua ambizione- guidarlo in prima persona. è il problema sollevato da Ezio Mauro su Repubblica e da Gianni Vattimo sulla Stampa. Per il direttore di Repubblica “fatto il governo, resta da fare la sinistra”, recuperando una “parola maledetta”, riformismo; per il filosofo torinese invece occorre dare stabilità all’unificazione delle varie culture politiche avvenuta sotto il simbolo dell’Ulivo, sulla base, in negativo del rifiuto del berlusconismo, in positivo di “un modo alternativo di concepire la possibile conciliazione tra solidarietà e sviluppo”.
Si può anche credere che le due ipotesi si risolvano l’una nell’assecondare D’Alema, l’altra nel seguire Veltroni e Prodi. Si può anche ritenere, aldilà dei personalismi, che la differenza tra la prima e la seconda sia fare i conti con Amato e l’eredità del socialismo, o con Bianco e l’eredità popolare. Pare a me, però, che nella sostanza la scelta sia tra due concretissime e diversissime visioni economico-sociali contrapposte.
La prima punta tutto sulla integrazione europea fin dall’inizio, ne accetta i vincoli di natura macro-economica, persegue l’annullamento del differenziale di inflazione per avere rapporti di cambio stabili e non esposti alla speculazione. Individua spazi per assumere, in campo micro-economico, iniziative più avanzate rispetto a quanto imposto dalla Comunità, e così controbilanciare eventuali marginali scostamenti rispetto alla matematica esattezza dei parametri.

Vede nel pieno esercizio del diritto all’iniziativa economica, dunque nella liberalizzazione dei mercati, la condizione per creare benessere diffuso; e nella flessibilizzazione nell’uso dei fattori produttivi il mezzo per riassorbire la disoccupazione. Considera il rigore non come una virtù eroica e “piagnona”, ma come ordine, chiarezza di regole che permettano agli individui, e quindi alle imprese, di individuare e realizzare i propri piani. Considera realisticamente che i margini per politiche redistributive implicano, come ha scritto Amato (Repubblica del 25 Giugno) il “dare priorità ai diritti di chi non ne ha, rendendo compatibile il loro finanziamento con il funzionamento della macchina economica”.
E’ questa la politica dei Kohl e degli Aznar. è per la mancanza di una destra capace di praticarla che si è chiesto alla sinistra di farsene carico: è stata la decennale battaglia di Scalfari, è ciò che tenta di fare Ciampi.
E c’è l’altra strada: quella che per il rilancio dell’occupazione punta all’aumento dei consumi interni, e quindi sull’aumento delle retribuzioni, anche a scapito della lotta all’inflazione. Al rispetto dei criteri macroeconomici di Maastricht antepone le ragioni della “vita reale”. Di fronte alla difficoltà di rendere compatibile un alto livello di redistribuzione con la globalizzazione dell’economia, ne accetta la logica conseguenza, l’isolamento, che per Attali (su Le Monde) è “una reale protezione doganale, industriale, sociale e culturale”, per Paolo Savona (su Liberal) un modo per “sollecitare i Paesi poveri ad adeguare i salari” ai nostri. Non è una strada di per sè antieuropeista: è la strada di coloro che sono convinti che i vincoli di solidarietà debbano prevalere sulle libertà economiche, che questi si difendono e non si cambiano: è la strada che, per semplificare, chiameremo di Cofferati.
Ora bisogna scegliere: o la strada di Ciampi, o quella di Cofferati. Quando si chiede alla sinistra di fare la sinistra, e sia pure in nome del riformismo, c’e’ il rischio che questo venga letto come l’invito a lasciare Ciampi da solo, ritenendo che, nella presente situazione, sia finito il tempo in cui si chiede alla sinistra di farsi carico di ciò che la destra non sa fare. Ma se queste fossero le conseguenze, allora c’e’ da credere che per molti, come Ciampi, come Monti, come, si licet parva, il sottoscritto, la concittadinanza in tale sinistra diventerebbe tanto problematica da apparire impossibile, tale da non poter essere risolta con malriusciti compromessi verbali, quali quelli con cui si vorrebbe chiuso l’incidente con il Commissario Monti: il cui unico torto, a questo punto, è di aver creduto che agli annunci seguisse la sostanza, e che non fosse nell’annuncio la sola sostanza perseguibile.
Non credo proprio che questo sia l’esito auspicabile che sta di fronte alla sinistra. Resto invece convinto che esiste il modo per chiedere al PDS di non evirarsi, senza per questo compiere scelte che allontanerebbero, vanificandone gli sforzi, le tante persone che per decenni hanno lavorato a schiodarlo da posizioni ideologiche.

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