Il nodo non sono i nomi

dicembre 1, 1997


Pubblicato In: Giornali, La Stampa


Le dimissioni di Guido Rossi da Presidente di Telecom segnalerebbero, secondo alcuni esponenti del PDS, un grave ritardo nella modernizzazione del capitalismo italiano; secondo Repubblica invece si tratterebbe di un vero e proprio sabotaggio attuato dal grande capitale italiano contro nuove regole di corporate governance. Entrambe le affermazioni, a ben vedere, non reggono. La prima perche’ non tiene conto che e’ il Governo a portare la responsabilita’ degli assetti proprietari, di mercato, di regolazione conseguenti alla privatizzazione di Telecom. La seconda perche’ si basa su un equivoco, che conviene subito chiarire.

Di corporate governance, colmando un grave ritardo, si sta finalmente occupando al Tesoro la commissione Draghi: a giorni sara’ noto il progetto, entro febbraio si esprimeranno le Commissioni parlamentari. Vi si tratta di raccolta di deleghe e di responsabilita’ degli amministratori, di limiti agli incroci azionari e di diritti delle minoranze, di compiti dei sindaci e degli auditor, di OPA e di tipi di azioni.
Corporate governance si traduce “governo societario”: ma nel senso di regole, non di persone, di curricola e di contiguita’ politiche. Mentre in Telecom proprio su queste ultime e’ avvenuto lo scontro, sui poteri del presidente, e su una promozione interna, da responsabile di una partecipata a secondo amministratore delegato della capogruppo.
Veniamo ora alla prima obiezione. Essa dimentica, come si diceva, che e’ stata la politica a dettare le regole del gioco. La privatizzazione di Telecom era l’irripetibile occasione per sostituire al monopolio un mercato competitivo, aperto a tutti e vigilato da un regolatore indipendente; per portare una ventata di concorrenza nei due mercati, quello dei diritti di proprieta’ e quello dei beni e servizi. Invece il Governo ha rinunciato a questi obbiettivi, ha perseguito solo quello di vendere. Di questo disegno Giudo Rossi e’ stato il puntuale esecutore: anzi, ha spinto la fedelta’ all’incarico fino a contraddire se stesso e il proprio passato.
Guido Rossi aveva dimostrato, in pagine memorabili, che la nostra golden share stravolge la natura stessa di una societa’ per azioni: ma l’ha in Telecom prontamente giustificata.

Aveva scritto la legge istitutiva dell’Antitrust: ma in Telecom non solo non ha preteso che il il Governo spezzasse o almeno riducesse il monopolio prima di venderlo ai privati, ma ha addirittura consentito che il suo ambito si estendesse; ha subito la cocente umiliazione di vedersi bocciato dall’Antitrust l’acquisto della societa’ Intesa dal gruppo FIAT.
Rossi e’ stato il primo presidente della Consob: ma ha acconsentito che Telecom fosse una societa’ non scalabile almeno per tre anni, un tempo enorme in questo settore, con un nucleo stabile congegnato in modo da evitare l’OPA obbigatoria. E ha presieduto un consiglio in cui gli azionisti privati sono pervenuti a controllare l’azienda – con un “braccio di leva” che neppure il Cuccia dei tempi migliori avrebbe osato tanto – non a seguito di un colpo di mano, ma dietro insistenze, tra pressioni e lusinghe, del Governo.
Guido Rossi tutto questo ha “subito” – nel silenzio di quanti oggi accusano- pur di portare in porto il disegno del Governo. Ora avrebbe voluto cambiare, nominare un altro amministratore delegato meno legato al passato, meno contiguo al Governo. Ma posto che e’ stato il Governo ad assicurare a Telecom la non scalabilita’ e a garantirle il monopolio, appare quanto meno bizzarro attendersi che chi ha pagato i privilegi che il Governo decantava e offriva, ora non cerchi di mantenerli.
Il Governo avrebbe esercitato pressioni perche’ Tommasi resti al potere. Pressioni a ben vedere non solo improprie, ma superflue, visto che il Governo, finche’ non sara’ insediata e funzionante l’Autorita’ delle comunicazioni, si e’ riservato ogni potere, compreso quello di rilasciare licenze e di fissare tariffe: sempre nel silenzio di quanti oggi accusano. Si vorrebbe forse che gli azionisti del nucleo stabile introducessero loro al posto del Governo le liberalizzazioni che questi non aveva voluto approntare? Si voleva che lo facessero sulla pelle degli azionisti “di minoranza”, in realta’ il 95% del capitale?
Quello della corporate governance e’ un discorso serio, uno dei piu’ importanti nell’agenda politica. Se ne dovra’ discutere a fondo nelle prossime settimane. Dovranno farlo anche, e a viso aperto, i protagonisti del capitalismo italiano: quella, non le riunioni del consiglio di amministrazione di Telecom, e’ la sede propria e l’occasione giusta.

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