Il legame laico tra Dio e Darwin

luglio 17, 2005


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di Alessandra Iadicicco

Dio e Darwin. Significativa la congiunzione «e» che, nel saggio di Orlando Franceschelli (Dio e Darwin. Natura e uomo tra evoluzione e creazione, Donzelli) esclude come da programma esposto in copertina ogni dogmatica disgiunzione (Dio «o» Darwin), ogni aggressiva contrapposizione (Darwin «contro» Dio), perfino la spinoziana e, sul lungo termine, nichilista identificazione Deus sive natura («Dio o, se preferite, la natura», «Dio o, che è lo stesso, la natura», «Dio, anzi, al suo posto la natura») con cui si finisce per far aderire l’uno all’altra, per schiacciarvelo e appiattirvelo sopra fino ad annientarlo del tutto.

Un libro, quello di Franceschelli, tempestivo: per congiungere (oltre che Dio e Darwin) l’urgenza dell’attualità – l’articolo del cardinale austriaco Christoph Schönborn che sul New York Times del 7 luglio rifiuta la teoria neodarwiniana fondata su casualità e selezione naturali – con la portata di un confronto antico quanto e più del cristianesimo. Per inquadrare, infatti, il confronto nelle sue dimensioni, soprattutto per impostarlo come «dialogo» piuttosto che come «sfida», lo studioso si rifà, prima della nascita di Cristo, al Platone dalla cui ipotesi di un Demiurgo celeste discende, attraverso i Padri della Chiesa Agostino e Tommaso, fino a dopo Newton, l’argomento del Disegno divino, del Progetto trascendente, di un Principio (mente, volontà o amore) extramondano cui si deve l’esistenza del mondo. E, più indietro della predicazione evangelica, si richiama all’invito veterotestamentario di Isaia, che riferiva: «Su, venite, e discutiamo, dice il Signore». Discutiamo, allora. In nome del profeta e delle buone norme di «rettitudine intellettuale», «sobrietà», «chiarezza», «critica», «precisione»: dei valori laici, cioè, cui Franceschelli si attiene per catalizzare una discussione «adulta» tra «fede religiosa e saggezza terrena». «Plausibili» l’una come l’altra e l’una accanto all’altra. E anzi tanto irriducibilmente connesse che solo il punto di svolta segnato dalla pubblicazione dell’Origine delle specie (1859), chiama la teologia post-darwiniana a quella matura consapevolezza già esposta, dopo Giovanni Paolo II («La teoria dell’evoluzione non può più essere considerata una mera ipotesi»), anche da Benedetto XVI. L’attuale Pontefice, infatti, nell’omelia di inizio Pontificato ribadì come ognuno di noi è «voluto e amato da Dio, creato a sua immagine e somiglianza», senza smentire quanto due anni fa firmava Joseph Ratzinger, auspicando «da entrambe le parti la serenità nel discutere e la disponibilità ad ascoltare». Da una discussione serena e ben problematizzata tra creazionismo ed evoluzionismo vengono fuori spunti d’importanza fondamentale, e Franceschelli li mette in luce uno dopo l’altro. Dalla vicenda intellettuale e umana di Charles Darwin che, aspirante pastore anglicano prima, «cappellano del diavolo» poi, si negò «ateo», si mantenne prudentemente «agnostico» e mise a punto un’antropologia estranea all’efferato darwinismo sociale dello struggle for life all’ultimo sangue. Allo sbalorditivo attacco – violento quanto quello dei creazionisti americani – sferrato contro lo scienziato e contro l’insensata casualità della sua teoria dai due profeti della morte di Dio, Nietzsche e Marx: in nome di una Volontà (di potenza) l’uno, in nome della Finalità (nella dialettica della storia) l’altro. Fino alla pietas «laicissima» della fede in un Deus creator et evolutor che, professata fin dal Medioevo evoluzionisticamente ignaro di Sant’Agostino («Il mondo è una madre gravida che porta in sé i principi delle cose che nascono»), si drammatizza nella figura (di tradizione ebraica) della «contrazione» di un Creatore che frena la propria potenza per favorire la crescita del mondo, e in quella (di credo cristiano) dell’umiliazione, incarnazione e passione di Colui che il mondo redime. Agostino, insieme con gli ebrei Hans Jonas e Martin Buber, e i cristiani Blaise Pascal e Dietrich Bonhoeffer sono gli interlocutori che Franceschelli si sceglie accanto al teorico dell’evoluzione per commisurare la realtà della «sofferenza» sul metro della fede nella Provvidenza, professata da quelli. Sta qui il nodo stringente e irresolubile che lega Dio e Darwin nella suggestiva riflessione di Franceschelli: nel legame tra il mysterium iniquitatis che il credente può accogliere alla luce della fede e il Mistero della fede che il laico deve poter comprendere come profonda esperienza umana e religiosa. E un simile riconoscimento della dignità umana equivale per l’autore non già a un tradimento, ma a una professione della propria laicità.

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