Il grande botto

settembre 11, 2010


Pubblicato In: Giornali, Il Foglio



INCHIESTA DI MARIANNA RIZZINI

Il successo del TG di Enrico Mentana dimostra che l’informazione ingessata esiste solo per chi la fa. Il sistema televisivo si autoregola, basta innovare.

Enrico Mentana ha fatto il botto al Tg7 (nove per cento di share con picchi oltre il dieci) e un dubbio sorge spontaneo: non è che bastava mettersi lì e fare televisione (e investire, nel caso dell’imprenditore-editore) per vedere l’anomalia televisiva italiana tirare fuori gli anticorpi per curarsi da sola?

Trenta agosto, lunedì: Enrico Mentana torna in video alla conduzione del tg delle venti, il successo immediatamente arride a lui e al suo studio verde menta, i commentatori gridano al miracolo, gli osservatori parlano di Mentana come se fosse un fenomeno nuovo – il massimo dell’anticonformismo – e non il Mentana che fa normalmente il Mentana, e cioè uno che dichiara di voler dare tutte le notizie e di voler privilegiare gli spettatori che vogliano informarsi (l’anticonformismo non c’entra, e anzi questo è un topos del giornalismo cosiddetto anglosassone).
Settimana successiva: Enrico Mentana continua a condurre l’edizione serale del Tg7, i commentatori analizzano il suo stile da “Mentana show” – il conduttore che guida alla lettura delle notizie più che leggerle – e Mentana fa una cosa normale che i concorrenti non fanno: una diretta da Mirabello, dove Gianfranco Fini fa il suo attesissimo discorso. Poche ore dopo Mentana intervista in diretta il presidente della Camera. I commentatori rigridano al miracolo, lo share vola oltre il dieci per cento e poi si attesta sul nove per cento.
Mentana ha fatto il botto ma è sempre Mentana, il giornalista partito in anni lontani dal mondo senza fanfare della vecchia informazione Rai, con le dirette da Londra per il matrimonio di Carlo e Diana e gli speciali in seconda serata. Mentana ha fatto il botto ma è sempre il Mentana che martellava con la “cronaca, cronaca, cronaca” (ora fa più politica), il giornalista cresciuto assieme al Tg5, il suo Tg5 cresciuto assieme alla stagione di Mani pulite. E’ un Mentana diventato paradossalmente il simbolo della ribellione a Mediaset, pur essendo una creatura del berlusconismo televisivo e senza mai aver fatto un telegiornale di sinistra (ma c’è stata la porta sbattuta nel febbraio 2009: Mentana voleva mandare in onda uno speciale “Matrix” su Eluana Englaro al posto del Grande Fratello, la rete confermò il GF, lui disse “ciao”).
Enrico Mentana ha fatto il botto e il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri, interpellato da questo giornale, dice che il successo di Mentana “mostra la vitalità della tv generalista e del sistema e fa giustizia dei luoghi comuni faziosi sul regime e sull’informazione ingessata e censurata. Mentana è bravo, più bravo di altri, ma non c’è mai stata una crisi dell’informazione e il suo successo ne è la prova”. Intanto si fa strada un déjà-vu: nove anni fa, un altro botto. Nove anni fa, nel 2001, La7 di Roberto Colaninno e Lorenzo Pellicioli (vertici del gruppo SeatTelecom Italia) si lancia nella competizione con i due grandi blocchi
Rai e Mediaset, con ambizioni da terzo polo e il cinque per cento di share come obiettivo di rete. Sono tempi di grande lancio estivo alla discoteca Alcatraz di Milano, con Fabio Fazio e Luciana Littizzetto, con le luci stroboscopiche, l’hangar illuminato e il bancone dei drink che si fa arredamento dell’improvvisato studio televisivo. Sono tempi di progetti per “una nuova rete giovane” che possa battere Italia1, e di dirette dalla festa per lo scudetto romanista: due milioni di telespettatori per una Sabrina Ferilli madrina giallorossa in un Circo Massimo traboccante di tifosi. L’autunno sembra portare Fabio Fazio alla conduzione di un suo “Fabshow”, ma una polemica con i vertici della rete fa sì che, un giorno prima della messa in onda, si dichiari il “non se ne fa nulla”. Il botto non si ripete, lo share resta da nicchia (due per cento), la nicchia diventa l’obiettivo (conquistare e consolidare un pubblico selettivo, si pensa) e la rete cambia proprietario (arriva Marco Tronchetti Provera). Tra quei giorni e il botto odierno di Mentana, tra quei giorni e La7 di Franco Bernabé ci sono successi di “nicchia” ma solidi (“Omnibus” al mattino, “Le invasioni barbariche” alla sera), conduttori che arrivano, fanno audience e vanno (Piero Chiambretti), conduttori che arrivano, fanno audience, vanno e tornano (Daria Bignardi), conduttori rivelazione (Ilaria D’Amico), conduttori storici (Gad Lerner).
Enrico Mentana ha fatto il botto, ma rispetto a quei giorni del 2001 il panorama generale è cambiato: c’è l’informazione su Sky che diventa consuetudine per molti, c’è il digitale terreste all’avvio, c’è la televisione
sul web (culla della prima riapparizione di Mentana quando, durante la campagna elettorale per le regionali, l’ex conduttore di “Matrix” conduceva i cliccatissimi incontri del “Mentana condicio” sul Corriere.it, in pieno oscuramento dei talk show causa par condicio, appunto). In questo quadro, il botto di Mentana può far sognare la rivincita del terzo polo mai nato.
Il critico televisivo Gianluca Nicoletti, commentatore sulla Stampa, dice che sembra di essere tornati ai tempi in cui si diceva “bello andare a La7”, nel senso che La7 “viene ora percepita come la squadra dei buoni, la rete in cui si è ricostituito un manipolo di fighi radical-chic. Adesso però a La7 devono fare campagna acquisti.
Non basta, anche se è molto, un direttore che ci mette la faccia e dà l’idea di artigianato della confezione.
Mentana ha talento e ha sfruttato le circostanze favorevoli. Appena uscito da Mediaset non avrebbe avuto questo successo. Ora tocca alla rete”. (La rete, intanto, pare abbia deciso di mandare contro Fazio Fabio, nel weekend, il programma “In onda” di Luca Telese e Luisella Costamagna).
All’indomani del botto di Mentana su La7, in Rai il presidente del cda Paolo Garimberti e il direttore generale Mauro Masi si scrivono missive contro e pro il tg di Augusto Minzolini – difeso a suo modo da Marco Travaglio sul Fatto quotidiano: inutile “prendersela con Minzolini perché fa il Minzolini”, scrive Travaglio. E poi aggiunge: “Se la Rai avesse cercato un direttore noto per la professionalità avrebbe chiamato Mentana (era a spasso)… gli elementi per cacciare Minzolini ci sono tutti, anzi c’erano già quando fu nominato. Ma processarlo oggi per l’unica cosa che ha il diritto di fare – gli editoriali – è peggio che un crimine: è un errore”. Gad Lerner, intervistato dal Corriere.it. si dice “addolorato” per la metamorfosi di Minzolini e de La7 in prima pagina con Mentana dice: “A forza di fare autocensura, a forza di ospiti proibiti” sulle reti del “duopolio collusivo” era “ovvio che ci si spalancasse unospazio. E’ la normalità che si impone” e “per la teoria dei vasi comunicanti il pubblico si sposta”. Su Repubblica, intanto, Francesco Merlo parla dei due direttori (“uno sale, l’altro scende”) e dice che quello di Mentana “è un bel giornalismo, certo, ma è Minzolini che lo rende fenomeno.
All’opposto di Mentana, infatti, Minzolini è diventato la caricatura del direttore autorevole e austero… E’ l’anormalità del Tg1 che fa somigliare Mentana al protagonista del disperato erotico stomp di Lucio Dalla: ‘Ma l’impresa eccezionale/dammi retta/è essere normale’”.
Nel centrosinistra e nel centrodestra lo spostamento di pubblico verso Mentana non è visto in modo univoco. Matteo Orfini, membro della segreteria pd e responsabile Informazione del partito, dice che il successo di Mentana “buona parte è merito suo, ma per altri versi è la dimostrazione che la gente non ne poteva più di non avere un’informazione equilibrata. Mentana non fa un tg di sinistra, è uno che dà le notizie. E dimostra che non era vero che i cali del tg1 erano fisologici”. Il direttore di Panorama Giorgio Mulè (che ha alle spalle una lunga esperienza nell’informazione di Mediaset) allarga invece il discorso “all’ipocrisia di fondo”: “In Italia il pluralismo non solo esiste”, dice Mulè, “ma se si guardano i molti programmi di informazione spacciati per intrattenimento, Fabio Fazio e Serena Dandini, o quelli di informazione alla Michele Santoro e Michela Gabanelli, si vede che il sistema si è più che squilibrato in una direzione. I tg sono imbrigliati anche perché con la par condicio sono costretti a dare una briciola a destra e una a sinistra. Il drenaggio di ascolti di Mentana, comunque, è legato anche alla mancanza di traino per il tg su altre reti. Però è vero che una sveglia Mentana l’ha data, dimostrando che un tg può innovare e sfruttare le nuove tecnologie per colmare i bisogni di un pubblico che si aspetta originalità. Originalità non significa cercare l’anormale, ma presentare la normalità con accenti diversi”.
Di fatto il botto di Mentana sembra depotenziare la portata di molti borbottii sull’informazione “imbavagliata” e più di un grido “al regime, al regime”. E l’idea che il nove per cento di Mentana renda evidente una sorta di processo di “autoregolazione” del sistema televisivo si fa strada anche nei grandi giornali e nella stessa Rai, pur su sponde diversissime. Il critico del Corriere della Sera Aldo Grasso dice che il boom di ascolti dell’ex conduttore di Matrix “fa piazza pulita” “delle polemiche sul bavaglio e al contempo dell’informazione giurassica. Finché non è comparso un modello alternativo si poteva dire tutto, ci si autogiustificava.
Mentana di suo è un fuoriclasse, ma gli altri gli hanno regalato lo spazio su un piatto d’argento. Il suo successo dimostra che il disimpegno di Tg1 e Tg5 non paga. D’altro canto il Tg3, impagliato per eccesso di ideologia, dovrebbe prendere lezioni”. Dal mondo Rai Antonio Di Bella, ex direttore del Tg3 ed ex direttore di Rai3 prima della reintegrazione di Paolo Ruffini, dice: “E’ evidente che il sistema in un certo senso si autoregola, anche se sembrava impossibile. Mentana fa ora in Italia quello che negli Stati Uniti si fa da tempo: il direttore del tg dev’essere uno showman che dà un’interpretazione.
Mentana lo è, tanto che Minzolini ha detto che il tg di Mentana gli sembrava più un talk show che un telegiornale.
In effetti i tg come prodotto sono obsoleti: lo spettatore, quando si sintonizza sul tg, ha già acquisito le informazioni sulle all news e su internet. Si pensava che un modello diverso fosse destinato a orari notturni – e al Tg3, a Linea notte, da anni c’è un direttore che non racconta la giornata con tutte le notizie ma cerca di dare un’interpretazione. Adesso anche il tg delle 20 diventa one man show”.
Il consigliere d’amministrazione Rai (in quota centrosinistra) Nino Rizzo Nervo, memore di un’esperienza a La7 degli esordi, accoglie con favore l’azione “di un editore che ha deciso finalmente di competere sull’informazione quotidiana”. “Meno male”, dice Rizzo Nervo: “Anche se si ha una tv piccola, con un piccolo potenziale, quando ci si mette a fare tv sul serio si può dare molto fastidio. Non è stato possibile ne La7 del 2001, forse è possibile oggi. Non ho mai pensato che in Italia non ci fosse libertà di espressione, ma nel momento in cui c’è un controllo che finisce per essere politico su Tg1 e Tg5, l’arrivo di Mentana è dirompente. Enrico ha il ritmo del tg nel sangue da quando, ragazzino, conduceva l’edizione di mezza sera in Rai. E il suo ottimo risultato dimostra che c’è una fetta di pubblico non irrilevante, abituata ad ascoltare il tg delle venti, che evidentemente aveva abbandonato i tg delle reti ammiraglie. Era sbagliata l’analisi che si faceva sul Tg1: ‘Perde ascolti perché tutta la tg generalista, con il digitale, sta perdendo ascolti’. Il pubblico di Mentana è da tv generalista”. Dal centrodestra, il consigliere di amministrazione Rai Antonio Verro dice di condividere le parole del viceministro Paolo Romani, che sulla Stampa del 7 settembre diceva “il successo di Mentana e di La7 dimostra che nel paese c’è pluralismo”. Verro aggiunge: “C’è la concorrenza. Ben venga. Eleva la qualità del prodotto”.
Giovanni Minoli, coordinatore delle programmazioni per i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia e deus ex machina de “La storia siamo noi”, prodotto giornalistico premiato dallo share, pensa che il successo di Mentana sia “un’apertura di speranza. Quando Mentana dice ‘voglio fare una tv per privilegiare gli spettatori che chiedono di saperne di più’, mi viene in mente lo slogan di Mixer: ‘Il piacere di saperne di più.
Per fortuna Mentana ha trovato un editore che gli ha dato lo spazio, ma certo non ho mai pensato ci fosse il regime. In Italia si dice quello che si vuole e ci sono programmi per dire quello che si vuole. E poi i palinsesti Rai sono la fotocopia l’uno dell’altro da più di un decennio. Uguali sotto qualsiasi governo. Molti autori restano gli stessi. Gli ascolti di Mentana dimostrano che la gente aveva fame di informazione fatta in un certo modo”.
Lucia Annunziata ha un’altra teoria. Gli spettatori di Mentana le fanno venire in mente quella che chiama “la teoria dei due milioni di persone”. “Esiste”, dice Annunziata, “una base di due milioni di persone– ma occasionalmente, intrecciandosi con altre fasce, può arrivare a cifre più alte – che rappresenta una specie di coscienza attiva dell’antisistema. Antisistema nel senso che può rivolgersi contro Berlusconi o contro la leadership del Pd. Ma sono secondo me le stesse persone che comprano il Fatto, guardano Santoro, fischiano Schifani, idolatrano Beppe Grillo. A seconda dei momenti identificano qualcosa che è antisistema, magari sbagliando, visto che La7 e Mentana non sono antisistema, e si dirigono in quella direzione.
Poi però si scocciano e se ne vanno. Nell’urna valgono meno di due milioni di voti, ma il populismo è diventato un elemento trainante della parte attiva della popolazione politica. Quanto vale questo giro di persone antisistema? Più o meno due milioni, quanto fa ora Mentana. E’ un’area di opinione molto modaiola, molto visibile e molto attiva, che magari è contro Massimo D’Alema e pro Nichi Vendola, ma se D’Alema e Vendola si accordano gira i tacchi. Quando Fini le sembra antisistema è tutta con Fini, quando Mentana le sembra antisistema è tutta con Mentana. Però può voltare la faccia in un batter d’occhio.
Questo ci dice qualcosa sul sistema dei media o qualcosa sul sistema politico italiano per come si riflette nei media?”.
Il botto di Mentana non può essere valutato in una prospettiva univoca, dice Franco Debenedetti, ex senatore con gli allora Ds, manager e autore, con Antonio Pilati, del saggio “La guerra dei trent’anni. Politica e televisione in Italia. 1975-2008” (Einaudi).

“Per valutare il successo di Mentana al Tg de La7”, dice Debenedetti, “bisogna dire rispetto a quali coordinate lo si misura. Se il riferimento sono altri conduttori e altri programmi, raddoppiare lo share è un grande successo personale, che pochi possono vantare. Un successo ancor più significativo perché ottenuto solo dando notizie. Dato che Mentana non è ascrivibile né alla maggioranza né a qualcuna delle opposizioni, il suo successo aumenta il pluralismo. Un fatto positivo certo, ma da non sopravvalutare: la differenza di share tra prima e dopo l’arrivo di Mentana significa poco più di mezzo milione di ascoltatori. Anche se i processi attraverso cui si forma l’opinione pubblica sono complessi, e non banalmente additivi. Il suo successo nessun’altra rete avrebbe potuto coglierlo; solo il Tg3 può prenderlo a esempio e chiedersi perché non riesca a far meglio di quel che fa. Tutt’altro discorso se il riferimento è il sistema televisivo italiano, quel modello di business. Quanta pubblicità sposta sul totale della raccolta pubblicitaria delle tv generaliste? Quello è un mercato in cui non succede più nulla: non entra più nessuno, gli spostamenti di quote di mercato sono minimi. Solo il cambiamento tecnologico può cambiare il modello di business. E ancora: non sembra succeda con il digitale terrestre che avrebbe dovuto consentire a operatori locali di consorziarsi e crescere, non credo avverrà con HD o 3D. Cambiamento di modello di business è stato invece il satellite, sarà soprattutto la tv via Internet, sul computer o sulle tablet. Se ciascuno si facesse il suo palinsesto, cambierebbe tutto. Chissà, il numero di ascoltatori del tg di Mentana potrebbe anche aumentare”.

Fatto sta che due milioni di spettatori, dopo quasi due settimane di messa in onda, sembrano essersi stabilmente invaghiti. A La7 (per ora) non si mettono in cantiere serate trionfali all’Alcatraz, ma chissà se il nuovo tg può dare il via a una nuova fase offensiva della rete e a una parziale correzione naturale del cosiddetto duopolio, quantomeno a livello di investimenti pubblicitari e pur all’interno di un sistema televisivo anomalo (per com’è uscito, negli anni, dalle leggi Mammì e Gasparri, e per come appare oggi alla luce delle innovazioni tecnologiche). Certo è che il mondo della pubblicità e del marketing guarda incuriosito all’exploit dell’ex conduttore di “Matrix”. Alessio Fronzoni, ammistratore delegato del gruppo LowePirella, dice: “Il successo di Mentana era abbastanza prevedibile – Mentana è un personaggio che ha una sua fascia di ascolto molto fedele – però è un pezzo di un puzzle molto più grande che Telecom sta mettendo insieme. So che a La7 stanno lavorando moltissimo alla banda larga. Ci saranno nuove assegnazioni. Il successo di Mentana fa dunque parte di un progetto più ampio: se non è la creazione di un vero terzo polo, è la creazione di una supernicchia piuttosto consistente. A La7 si sta anche pensando a un preserale che traini il tg. Vuol dire che si sta cercando di montare un palinsesto che vuole offrire a un pubblico magari numericamente limitato, ma di qualità, un intero percorso, un’adesione allo stile della tv che va oltre il tg.
Questo naturalmente avrà ricadute di pubblicità piuttosto importanti: assieme alla quantità noi andiamo a cercare la qualità dell’audience, e quella di Mentana è molto ben targettizzata. Se, come sembra, La7 cerca di posizionarsi in modo alternativo ai sei canali Rai e Mediaset, questo può significare una quota di mercato del 5-7 per cento, un pubblico qualificato che consentirà di raggiungere il target in modo efficiente, evitando le dispersioni”. Luca Vergani, amministratore delegato di Mediaedge, pur intravedendo nel successo di Mentana “un bacino interessante e una tendenza alla crescita”, non crede che questo possa “scardinare il sistema del duopolio pubblicitario. La7 è pur sempre un’emittente che si presenta nel panorama televisivo da sola. Ci ha già provato ai tempi di Fazio, ma è difficile che cambi qualcosa a livello di sistema”. C’è anche chi ributta la palla in mano alla rete. Francesco Siliato, commentatore del Sole 24 ore e analista del settore media, dice che “si sta parlando in fondo di mezz’ora di programmazione. Anche se Mentana facesse il 30 per cento, finché resta un grande successo per mezz’ora si potrà avere un incremento degli spazi pubblicitari, ma per gli altri non cambierà nulla. Diverso sarebbe il discorso se La7 decidesse di investire e diventare una rete generalista a tutti gli effetti, più di quanto non sia ora. Per assurdo e per esempio: se al Mentana del tg si affiancasse un personaggio alla Bonolis in prima serata. Solo così si potrebbe sperare di incrinare il duopolio pubblicitario”. Mario Abis, presidente di Makno, società di consulenza e ricerche di mercato (anche nel settore media), invita ad “aspettare che il successo del Tg7 si assesti, perché in passato la rete ha già avuto un’impennata per poi tornare a livelli più bassi”. Abis non crede che il boom del Tg7 possa “scardinare il sistema di raccolta pubblicitaria. Però questo successo, legato al brand del conduttore, è significativo perché si inscrive nella crisi dei tg delle reti ammiraglie.
Da un lato questo brand potrebbe recuperare un target anche critico rispetto al Tg1 e al Tg5, dall’altro attirare o riattirare un target abituato all’informazione cross-mediale: quelli che hanno già le informazioni da altri media, quelli che se non c’è approfondimento si allontanano dal tg. E’ un pubblico di alto livello e in parte nuovo che può portare raccolta pubblicitaria aggiuntiva alle rete”. Claudio Velardi, ex consigliere dalemiano e guru della comunicazione politica, trova che quella di Mentana sia “un’offerta diversa ma neppure tanto significativamente diversa. Però il suo linguaggio vivace funziona, così come il suo marketing, per esempio il martellamento dal mattino sull’intervista a Fini, ed è un linguaggio che intercetta un’opinione pubblica laica e non di appartenenza. Comunque si vede che ora c’è un imprenditore che investe. Non è certo colpa di un inesistente regime se Rai e Mediaset perdono colpi: semplicemente non stanno facendo la politica giusta, per esempio sull’omologazione dei tg”.
Sia come sia, Mentana ieri otteneva la conferma del suo balzo di share (stabile oltre 9 per cento) e il suo tradizionale sorriso che non sorride, in video, pareva improvvisamente un sorriso che sorride.

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