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Il dio denaro

Pubblicato il 06/07/2010 @ 11:01 in Articoli Correlati,Consigliati e recensiti,Libri



estratto da una recensione di Giorgio Basevi

Al tema generale proposto l’anno scorso per le serate sui classici –Il dio denaro— si potevano dare almeno due impostazioni: una relativa al significato etico-filosofico che i classici attribuivano al denaro, l’altra a quello più propriamente tecnico-economico.
La relazione di Debenedetti, ispirata all’attuale crisi finanziaria internazionale, solleva un tema, fra gli altri, cioè quello della regolamentazione e sorveglianza dei mercati finanziari. Debenedetti non è particolarmente favorevole a tale regolamentazione, timoroso che essa possa soffocare il funzionamento dei mercati.

Ma veniamo al brano che, se ne fossi stato competente, io avrei aggiunto a quelli raccolti in questo libricino. Nel libro IV delle Storie, Erodoto (circa 484 – c. 425 a.C) scrive (IV, 196):

196, 1. I Cartaginesi raccontano anche questo: c’è una località della Libia e ci sono uomini che la abitano fuori dalle colonne d’Eracle; quando i Cartaginesi giungono presso di loro, scaricano le merci, le mettono in fila sulla spiaggia, salgono sulle navi e innalzano del fumo; gli indigeni, visto il fumo, vengono al mare e quindi, deposto dell’oro in cambio delle merci, si ritirano lontano da esse. 2. Allora i Cartaginesi sbarcano e osservano: se l’oro sembra loro corrispondere al valore delle merci, lo prendono e se ne vanno; in caso contrario, salgono di nuovo sulle navi e vi restano; gli indigeni si accostano e aggiungono altro oro, finché non li soddisfino. 3. Nessuno fa torto all’altro: infatti né i Cartaginesi toccano l’oro prima che gli indigeni l’abbiano equiparato al valore delle merci, né gli indigeni toccano le merci prima che gli altri abbiano preso l’oro.

Questo testo è di estremo interesse non solo per l’affascinante usanza che Erodoto ci racconta, ma soprattutto per gli spunti analitici che esso suggerisce, e non solo agli economisti. Erodoto tratta un caso di quello che gli economisti delle istituzioni definiscono “commercio silenzioso” o “silent trade”.
Qual è l’elemento essenziale per un buon funzionamento dei mercati? Se ritorniamo al racconto di Erodoto, sembrerebbe a prima vista che l’elemento essenziale sia la “fiducia”. E infatti gli economisti insistono da tempo sull’importanza della fiducia (“trust”) ai fini dell’efficienza economica. Tuttavia, fiducia in chi o in che cosa? Mi sembra chiaro che, nel racconto di Erodoto, la questione della fiducia entra in due modi, contradditori fra loro. Da un lato, le due parti –Cartaginesi e Libici– hanno fiducia che nessuna delle due approfitterà della situazione per prendersi le merci o l’oro dell’altra, senza pagare la controparte con il proprio oro o le proprie merci. D’altro lato, però, è evidente che entrambe le parti non si fidano dell’altra, anzi hanno timore e si tengono a debita distanza.
Come è possibile risolvere questa contraddizione, fra fiducia e sfiducia? Sono la regolamentazione, la sorveglianza e la sanzione da parte di autorità preposte ai mercati, gli elementi essenziali al loro sviluppo e buon funzionamento.
Mi sembra quindi che le preoccupazioni di Debenedetti, se pure giustificate per il rischio che la regolamentazione soffochi i mercati oppure li sposti altrove, non colga l’essenza della questione, e cioè che la fiducia sottostante il loro funzionamento non può essere lasciata ai mercati stessi –dove anzi gli operatori ancor oggi, come in Erodoto, essenzialmente non si fidano l’uno dell’altro–, ma debba essere assicurata dallo Stato ai mercati, in quanto i mercati sono beni pubblici.

Il dio denaro
a cura di Ivano Dionigi
Rizzoli, 2010
pp. 178

La recensione completa comparirà sul Sito personale di Giorgio Basevi e sul numero autunnale della rivista online Griselda

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