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Il “traffico d’influenze” della politica industriale. Il caso Cassa depositi

Pubblicato il 10/05/2016 @ 10:03 in Giornali,Il Foglio


Ilva, banda larga, Atlante: in tutti i dossier importanti la Cassa depositi e prestiti (Cdp) è presente con partecipazioni di minoranza. E dove non lo è, si invoca che lo sia: perché la sua stessa presenza certifica che il dossier è importante. Anzi strategico. Una partecipazione, quella di Cdp, non tanto piccola da essere irrilevante, e non tanto grande da essere determinante: sufficiente ad avere influenza. Una partecipazione tale da poter testimoniare una presa di posizione che si ritiene appropriata, senza avere la responsabilità degli imbarazzi che potrebbe produrre se fosse approvata: poni caso, se si trattasse di promuovere un’azione di responsabilità contro i passati amministratori dell’azienda che si sta salvando. A questi delicati equilibri la Cassa è abituata, da quando nel 2003 l’allora ministro Giulio Tremonti convinse le fondazioni bancarie a investire quanto bastava perché Eurostat deconsolidasse il debito postale da quello delle Repubblica.

Perché Cdp decide di investire in questi progetti? I nuovi vertici messi dal presidente del Consiglio Matteo Renzi a capo della Cdp ne hanno accentuato il profilo di un’investment bank come le altre. Quando il governo dichiara che un progetto è strategico, ci mette la faccia, si gioca la credibilità; i vertici di Cdp sono nominati dal governo; la conclusione è inesorabile come il sillogismo.

Perché gli altri azionisti accolgono Cdp a braccia aperte? Non hanno nemmeno bisogno di esplicitarlo, si capiscono al volo: ritengono che la natura pubblica di Cdp possa esercitare un’utile influenza nei rapporti con le controparti, sia pubbliche sia private. Influenza che praticamente si traduce, nei rapporti con l’amministrazione in generale e la magistratura in particolare, in un atteggiamento di riguardo; e nei rapporti con banche, clienti e fornitori nella considerazione che si può accordare a iniziative che godono di una sorta di implicita garanzia dello stato. All’origine di queste influenze c’è sempre l’ambiguità che è nella natura stessa della Cdp, il suo essere pubblica e privata: un’investment bank in cui è il governo a decidere gli investimenti significativi; un socio privato che viene accolto perché viene considerato pubblico.

Ma siccome non c’è nessun pasto gratis, c’è da chiedersi quanto costino queste influenze. Non sapremo mai se l’occhio di riguardo delle amministrazioni, o il credito presunto dai mercati, sono valsi a evitare giustamente un male, o a produrre un vantaggio ingiusto. Quello che è sicuro è che a far la differenza tra un investimento interamente fatto dal mercato e uno con la partecipazione di Cdp sono le influenze che questa ambiguità rende possibili.

E che dire invece del costo degli obbiettivi che il governo ha dichiarato “strategici”? I progetti così etichettati sono quelli che dimostrano ai cittadini la capacità del governo di risolvere situazioni difficili (Ilva), di realizzare obiettivi ambiziosi (banda larga), di soccorrere situazioni critiche (banche). Tutte cose che possono esercitare influenza sugli elettori: e per i governanti, si sa, strategico è essere rieletti. Per i contribuenti il rischio è che il governo sbagli strumento: nella scelta dell’impresa (Ilva), della tecnologia (banda larga), della dimensione dell’intervento (Atlante). Sbagli a cui i governanti vanno inesorabilmente incontro quando vogliono sostituirsi ai mercati nelle scelte, quando l’obiettivo vero non è il massimo possibile di efficienza, ma il massimo possibile di influenza.

Influenze, influenze: che traffico!

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