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I veri nemici del liberalismo sono tra di noi

Pubblicato il 05/07/2019 @ 09:15 in Giornali,Il Sole 24 Ore


«Il liberalismo è obsoleto» ha detto Vladimir Putin nell’intervista al Financial Times del 26 giugno. Vero o non vero, la corte del Cremlino non è qualificata per emettere simili verdetti.

Non lo è in punto di economia: il Pil della Russia solo nel 2020 raggiungerà quello della Germania, che non ha le sue risorse minerarie, e che avrà una popolazione di 83 milioni di abitanti, contro 144 della Russia. La crescita, da quando Putin è tornato al Cremlino, è dell’1,1% annuo, da 5 anni il reddito delle famiglie è in calo.

Non in punto di sistema politico: la Russia non è un esempio di fusione tra economia di mercato e sistema politico illiberale, sotto quell’aspetto il campione è la Cina.

Non in punto di rapporti internazionali, dove il suo record è impresentabile. Putin ha cercato di fare uccidere l’ex spia Sergei Skripal in un Paese straniero, usando gas nervino, e se ne vanta; ha modificato le frontiere di uno stato sovrano, annettendosi la Crimea; alimenta una guerra nel nord-est dell’Ucraina, ed è probabilmente coinvolto nell’abbattimento di un aereo civile; per mantenere il suo vassallo Bashar al-Assad al potere ha acuito la gravissima crisi umanitaria siriana. Come ha notato Giuliano Ferrara, nell’ intervista non c’è non una parola sulla natura del potere in Russia, «sul governo d’acciaio delle relazioni economiche, dei quattrini, delle regole di legislazione e di amministrazione della giustizia, insomma né domande né risposte sull’essenza dell’idea liberale, dello stato di diritto».

«Il liberalismo è obsoleto»: falso. È vero il contrario: le democrazie liberali basate sull’economia di mercato sono la forma organizzativa della maggior parte degli Stati non esportatori di petrolio con gli standard di vita più elevati; c’è un nesso essenziale tra la libertà e la vivacità del sistema economico da cui deriva la loro prosperità. «L’America – replica il quotidiano britannico – non sarà più la città luccicante sulla collina, ma i poveri e gli oppressi del mondo si dirigono verso l’Europa occidentale e gli Stati Uniti, e non perché sono Paesi ricchi, ma perché li vedono come il luogo della libertà: la Russia non attrae i poveri, non i ricchi, e neppure gli investimenti esteri». Il verdetto di Putin serve un obiettivo politico, offrire sostegno e guida a quei movimenti che davvero vorrebbero rendere obsoleto il liberismo. I Salvini, i Le Pen, gli Orbàn, se non condividono “obsoleto” è solo perché l’aggettivo par loro troppo moderato. Insostenibile nei fatti e nei confronti, scontato e spuntato come manifesto politico, a conferire importanza al verdetto di Putin sono i giudizi sul liberalismo che provengono da chi nei Paesi “liberali”, o a economia di mercato, o più semplicemente democratici, si professa opposizione ai sovranisti.

Non ci si riferisce alle critiche ovvie e giustificate: per la crisi finanziaria che ha eroso la fiducia nelle élite; per la globalizzazione che per molti ha significato perdite nel presente e incertezze per il futuro, a fronte delle quali appaiono intollerabili le disparità di guadagni e di ricchezze; per gli investimenti, in capitale umano e capitale finanziario, inadeguati a predisporre i lavoratori al mondo dei robot e dell’intelligenza artificiale. E nemmeno ci si riferisce alle posizioni politiche, ad esempio in tema di intervento statale in economia, o di uso della golden share, o di critiche alla concorrenza tra Stati appartenenti all’Unione: posizioni che finiscono per essere identiche a quelle dei sovranisti.

Si pensa invece a certe critiche di natura sistemica, esposte in modo radicale, mosse perlopiù contro l’innovazione più recente che il liberalismo ha regalato al mondo, l’economia della connessione, più comunemente chiamata economia digitale: critiche, il più delle volte, infondate. Ad esempio, quella che la finanza prevalga sull’economia: disconoscendo che venture capital e private equity sono un sistema perfetto e raffinatissimo per fare affluire risparmio a finanziare le innovazioni, anche le più azzardate, segmentando e controllando i rischi. Oppure che Google, Apple, Facebook e Amazon non paghino le tasse. Mentre, in virtù di una legge di quando il digitale ancora non esisteva, le multinazionali Usa possono parcheggiare gli utili realizzati all’estero in sospensione di imposte: le pagheranno, con l’aliquota forse più alta del mondo, quando li rimpatrieranno. O accusandoli di essere monopoli: mentre o hanno surclassato i loro concorrenti con investimenti giganteschi (Google e Amazon), o sono minoritari nei settori in cui operano (Apple), o sono in concorrenza tra di loro e con i loro omologhi cinesi. E poi le accuse all’uomo nero, Mark Zuckerberg. Che in parte se le merita, ma a cui dobbiamo un insegnamento prezioso. Il caso Facebook dimostra quanto immediato, costoso, duraturo sia il costo reputazionale di un passo falso: a conferma che è il motivo del profitto la migliore garanzia della libertà.

Se a dichiarare obsoleto il liberalismo è chi non lo pratica, fa solo propaganda politica. Se a dirlo è chi nel liberalismo vive e del liberalismo gode i frutti, fa correre il rischio che obsoleto possa diventarlo.

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