I veri bersagli di Pansa Crockett

agosto 5, 1999


Pubblicato In: Varie


Diabolici, quelli di liberal. Ci siamo cascati tutti e due: io che ho scritto la letterina a Giu­lio Anselmi, nuovo diret­tore dell’Espresso; e Giam­paolo Pansa che mi ha ri­sposto con una violenta polemica sul sito Internet del settimanale. La trappola è scattata e liberal ha così potuto raccogliere le rea­zioni autentiche del numero due del set­timanale di Via Po.

«Adesso mi arrabbio», scrive Giam­paolo Pansa. Con chi? Non certo con me, con l’«eterno secondo», come mi chia­ma lui. Ripetuta due volte dal numero due dell’Espresso, l’allusione rivolta al fra­tello del suo editore è una di quelle gag involontarie capaci di mandare in sollucchero i freudiani dilettanti. Il mes­saggio è esplicito, ma non a me diretto. I due numeri uno di via Po, quello del­la proprietà e quello del settimanale, Car­lo De Benedetti e Giulio Anselmi, sono avvertiti: la linea «quasi combattentisti­ca« della contrapposizione a Berlusconi non deve cambiare. Giacché uno è e re­sta per l’ansa il pericolo per l’Italia, l’inciucio con Berlusconi: e contro l’inciucio vigilerà sempre la vecchia guardia dell’Espresso al comando del numero due di Via Po. Un settimanale concepito co­me un fortino, spari e cannonate dalle feritoie, e Pansa come Davy Crockett alla testa degli sparuti volontari del Texas.

Chiariti obiettivi e destinatari dell’ «ar­rabbiatura» pansiana, assodato che della sua bottega si parla e non d’altro, sia con­sentita una breve digressione nella poli­tica così impropriamente tirata in campo. Non fosse altro per non lasciare nel dubbio Pansa quando si chiede se i suoi sforzi, grazie ai quali secondo lui sono sta­to eletto, sono stati bene indirizzati.

Io non riesco a considerare incolmabile e senza speranza il divario tra le enormi possibilità di questo Paese, e i vincoli che ne impediscono l’espressio­ne: lo statalismo, i corporativismi, la pau­ra del rischio e della liberto. Credo che questi vincoli stiano soprattutto a sini­stra, che sia più giusto e meglio se sarà la sinistra a rimuoverli, se sarà la sinistra a realizzare quelle riforme che sorto coerenti col suo patrimonio storico, e che solo una non irreversibile deriva attribuisce alla destra. Credo alla volontà mo­dernizzatrice di Massimo D’Alema a di Giuliano Amato, per citare solo due no­mi. Nei sei anni da che sono in politica, nelle tre o quattro campagne elettorali che ho fatto, nelle centinaia di editoriali che ho scritto, nelle diecine di inter­viste che ho dato, nei non so quanti di­battiti a cui ho partecipato, nei disegni di legge che ho presentato, ho sempre e solo lavorato per questa visione. L’ho fat­to con imprudente passione, con impolitico entusiasmo; ma a Pansa appare in­vece «cupezza» di un «algido subalpino».

«Se vuol tornare a Palazzo Madama, contro chi combatterà?», si domanda Giampaolo Pansa. Io ho sempre cercato di lavorare «per» qualcosa. Da «piemontese fesso» - come gentilmente mi chiama lui casalese a me torinese – credo che perda la propria identità chi la pone tutta nell’es­sere «contro» qualcu­no; che chi è maniacalmente attratto da un avversario finisca per esserne inghiottito; che a furia di essere la nega­zione si finisca per diven­tare il negativo. Non è che lo scopra Franco Debenedetti, caro Pansa, che l’Italia dei Guelfi e Ghi­bellini, Bianchi e Neri, Cer­chi e Donati, per secoli in politica ha finito per con­tare meno di nulla oltre a esiliare anche i migliori poeti.

Può darsi dunque che non ritorni per la terza volta a Palazzo Madama. Mi dispiacerebbe, ma non sa­rebbe grave. E non so se la sinistra «com­battentistica» rivincerà le elezioni, e for­se neppure questo è un dramma. Ma ciò che è veramente importante, ciò a cui non possiamo rinunciare è che sia la si­nistra, che sia questa maggioranza e que­sto governo a dare al Paese la moder­nizzazione di cui ha bisogno, e a cui ha diritto.

Se non ci riuscirà sarà anche grazie alle cupe vestali dell’antinciucio, agli al­legri compagnoni del partito delle ma­nette tintinnanti, ai garruli ideologi del partito Rai, agli eleganti supporter del­le bizze della sinistra interna ed esterna al partito di D’Alema.

Questo si che non è problema che ri­guardi solo Pansa, il suo editore, e il suo nuovo direttore. È una responsabilità po­litica di cui tutti dovranno rispondere: per questo ne parlo, da politico, non da improprio «insegnante di giornalismo». Su una cosa però sono d’accordo con Pansa: rifare il verso a Dalemoni con Dalemelli è stata una «battutina scia­pa». Forse però è servita a mo­strare che neppure l’originale Dalemoni era un granché.

Lei ci assicura che quelli di Via Po possono essere molto più spi­ritosi. Ci provi, ci provi, ne sarà felice il suo editore e il suo nuovo direttore, i destinatari veri della sua «ar­rabbiatura», gliela per­doneranno meglio, se sarà condita da miglior spirito.

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