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I tabù della sinistra

Pubblicato il 25/09/1997 @ 12:49 in Giornali,La Repubblica


Tre proposte per due obiettivi: migliorare il funzionamento del mercato del lavoro e ridistribuire in modo più equo le protezioni tra tutti i lavoratori

Ci sono cinque paesi – Cina, Indonesia, India, Russia e Brasile – che rappresentano la metà della popolazione del pianeta: a seguito degli accordi presi in sede Wto, la loro quota nel commercio mondiale, oggi pari al 9 per cento, tra 20 anni arriverà al 22 per cento; e di conseguenza quella dei paesi industrializzati dal 77 per cento di oggi scenderà al 52. Potremo averne grandi vantaggi, vedremo diminuire i costi dei prodotti che consumiamo, se saremo capaci di sostituire con servizi quasi tutti i lavori ad alta intensità di manodopera: in meno di una generazione.

Con l’Euro l’area economica più ricca del mondo sarà un mercato unificato dalla moneta: grandi possibilità di crescita, ma anche formidabili problemi di mobilità del fattore lavoro per contrastare le conseguenze di inevitabili shock asimmetrici: a partire da fra tre anni.
Colpisce, in entrambi i casi, la difficoltà ad adeguare i rapporti sociali e le istituzioni che ad essi presiedono alle decisioni assunte in sede politica, il contrasto tra la lentezza con cui li si fa evolvere e la rapidità con cui le conseguenze di quelle decisioni ci ricadranno addosso.
Così è per il Welfare, la cui insostenibilità ed iniquità in base alle attuali regole è palese e incontrovertibile: ma piuttosto che ragionevolmente adeguarle c’è chi ci propone il suicidio. Così è per l’orario di lavoro: tra un po’ della fabbrica fordista leggeremo solo nei libri di storia; si diffonde il part-time, ma ancora qualcuno propone la riduzione dell’orario di lavoro come soluzione al problema della disoccupazione.
Ci sono dei temi che sembrano essere dei tabù: e mettere in discussione il potere magico di tre di questi tabù è lo scopo che mi sono proposto con le proposte legislative che ho presentato in Parlamento e che illustrerò oggi a Napoli. La prima riguarda la liberalizzazione dell’attività del collocamento, oggi ancora monopolio pubblico, nonostante l’Italia sia per ciò sotto processo in Lussemburgo (e tutto lascia prevedere che sarà condannata).
Fare incontrare domanda e offerta di lavoro è un’attività che oggi in molti paesi viene svolta da imprese specializzate impiegando tecniche sofisticate: tutto il contrario del collocamento pubblico, una struttura burocratica che tratta le persone come pratiche, di cui tutti – lavoratori, imprenditori, gli stessi addetti – si dichiarano insoddisfatti.
La seconda riguarda la rappresentanza sindacale e la validità dei contratti erga omnes . La proposta – far scegliere da tutti i lavoratori, con elezione nei luoghi di lavoro, le organizzazioni sindacali da cui farsi rappresentare, ed attribuire solo ai contratti stipulati da quelle che rappresentano la maggioranza dei lavoratori la validità erga omnes - pur rispondendo a elementari criteri democratici, ha suscitato controverse risposte.
Nulla a paragone del vespaio scatenatosi quando ho toccato il terzo tema, quello dei licenziamenti individuali. Io non propongo di introdurre la facoltà di licenziare per la semplice ragione che l’attuale legislazione già lo prevede, quando sussista l’impossibilità per l’azienda di conservare il lavoratore nel suo posto. Io propongo solo che la determinazione di tale «giustificato motivo oggettivo» sia sottratta all’alea – per i lavoratori oltre che per l’azienda – del soggettivo giudizio del magistrato, ma sia invece definita per legge. E propongo che di tale tutela godano, anche sia pure in forma ridotta, i lavoratori parasubordinati, che oggi ne sono totalmente sprovvisti.

Tre proposte dunque per due obiettivi: da un lato migliorare il funzionamento del mercato del lavoro, dall’altro ridistribuire in modo più equo le protezioni tra tutti i lavoratori. Per adeguare l’uno e le altre alle conseguenze delle decisioni assunte in sede politica: che riguardino il commercio mondiale o la moneta europea.

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