I partiti e la logica del «tanto peggio»

ottobre 13, 1993


Pubblicato In: Giornali, La Stampa


Prima Guarino, adesso Savona. Non stupisce che il processo di privatizzazione continui a produrre crisi e lacerazioni: privatizzare significa far cambiare di proprietà a una parte considerevole delle attività del paese, ridisegnarne la struttura finanziaria ed economica. Difficile non concordare col min. Savona nell’esigere che ciò avvenga in un quadro di regole e di obbiettivi espliciti e trasparenti: ma c’era bisogno di arrivare alla vigilia del lancio dell’operazione Credit per accorgersene? E la sua polemica è stata verso il presidente o verso i suoi colleghi di governo, presenti e passati? Difficile non essere d’accordo con il presidente Ciampi quando promette di ispirare le sue scelte a pragmatismo: ma l’obbiettivo del suo pragmatismo è l’ottimizzazione di tempi e ricavi, la stabilità dell’esistente, o la creazione di un mercato finanziario efficiente al servizio di un sistema industriale competitivo?

Tecnicamente, o pragmaticamente, i criteri sono abbastanza chiari, come risulta dalle proposte e dai dibattiti fioriti fin dall’epoca del governo Amato. In sintesi: la nostra economia soffre per mancanza di mercato, mercato dei capitali e mercato ‘dei beni prodotti e dei servizi resi. Bisogna quindi creare opportunità: al risparmio per trovare impieghi e agli imprenditori per impegnarsi in attività economiche. Offrire ai singoli risparmiatori ed a tutte le istituzioni finanziarie la possibilità di acquistare (magari a prezzi differenziati e inizialmente con limiti alle quote di partecipazione singolarmente detenute) azioni di grandi banche crea un vasto mercato dei capitali; ciò a sua volta promuoverà la crescita di una pluralità di investitori istituzionali, che, operando in concorrenza tra loro, premieranno con le loro scelte le organizzazioni il cui management dimostrerà di voler anteporre l’efficienza gestionale alla difesa di interessi corporativi, e di saper selezionare gli impieghi in base alla loro redditività e non in funzione di pressioni politiche. È chiaro che l’obbiettivo di allargare il mercato dei capitali non si raggiunge, certo non con pari direttezza, se il controllo delle banche da privatizzare dovesse passare a grandi gruppi esistenti, nè con pari trasparenza se questi dovessero chiedere alle banche stesse i mezzi per finanziarne l’acquisto.
Affatto diverso è il discorso che riguarda le aziende industriali. Le holding di stato raggruppano le attività industriali le più disparate: in tal caso si tratta di smontare queste costruzioni, di non perpetuarle applicando anche ad esse il modello astratto della public company (come secondo il progetto Guarino e successive reincarnazioni), e di creare invece un mercato di iniziative, aperto alle strategie industriali degli investitori.
Tutte cose note, dette e ridette: perchè allora le polemiche? Perchè in gioco non sono solo i pur corposi interessi, ma il controllo politico dell’economia, e perchè soluzioni tecniche “a valle” non possono risolvere problemi politici “a monte”. Il vero problema è che un mercato finanziario efficiente ed un sistema industriale competitivo non si possono realizzare senza un volontario e determinato ritrarsi della politica dall’attività economica, e un suo concentrarsi a stabilire regole e a farle rispettare.
I mercati efficienti, dei capitali come dei beni e servizi, sono complesse costruzioni, fatte di dispositivi legali e fiscali, di incentivi e di controlli: progettarle e mantenerle è compito primo dell’attività di governo, sottoposto al controllo politico dei cittadini. Il limite del “pragmatismo” del capo del governo sta proprio nella precarietà dell’attuale quadro politico, e nell’incertezza di quello futuro. Non è nelle tecniche che si possono trovare le garanzie che il vecchio sistema di ingerenze politiche o di pura corruzione non si perpetui, aldilà delle ottime intenzioni e delle attese realizzazioni di chi vi è attualmente preposto: ma solo nel controllo politico assicurato dalla possibilità dell’alternanza.
Adesso l’offerta pubblica del Credit sarà lanciata nelle modalità previste dal presidente dell’IRI: questa in fondo è solo la prova generale dell’analoga operazione Comit. Ma anche se si eviterà che il processo si inceppi su quello scoglio, il problema vero delle privatizzazioni, dare cioè nuove aperture di mercato e nuove regole al nostro sistema finanziario ed industriale, non si potrà certo considerarlo risolto. Un problema che si intreccia con quello dell’occupazione, con diecine di Crotone o di Marghera che possono esplodere, con quello fiscale, con quello dei tassi; questi dipendono anche dalla credibilità della politica economica, di cui il processo di privatizzazione è parte essenziale: le oscillazioni del cambio puntualmente ci ricordano quanto precario sia l’attuale equilibrio.
Problemi che richiedono visione per progettarne le soluzioni, leadership riconosciuta e consenso per attuarle. Ma per le forze politiche pare essere assai più importante posizionarsi per i prossimi confronti, evitare incidenti o parare attacchi: e tanto peggio se questo vuol dire rinviare, insieme alle elezioni, il momento in cui metter mano ai problemi di fondo del paese.

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