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I dilemmi politici del “tecnico” Monti

Pubblicato il 04/10/2012 @ 09:50 in Giornali,Il Sole 24 Ore


A volte accade che dire una cosa, pur in sé evidente e nota, produca grandi conseguenze: è la morale della favola del vestito dell’imperatore. Cosa d’altro ci si aspettava che dicesse Monti a chi gli chiedeva del suo futuro? Sia che avesse risposto che mai e poi mai, sia che avesse annunciato la sua discesa in campo, avrebbe danneggiato o il Paese o il suo governo. Ma se una risposta ovvia ha sollevato tante discussioni, una ragione c’è: così si inizia a parlare esplicitamente del dopo.

Come potrà raccogliere i suoi voti Monti? Poco credibile che ceda il suo “marchio” a un agglomerato di partiti e movimenti assemblati in una lista civica: questi al massimo possono impegnarsi a proporre, quando saranno consultati dal capo dello Stato, il nome di Monti senza subordinate. Bersani ha già detto che chi vince fa il premier. Quanto a Renzi, se vincesse alle primarie nonostante il “Tranellum” che gli stanno preparando per avere la sicurezza di sbarrargli la strada, avrebbe una ragione in più per dire la stessa cosa: perché sarebbe sostenuta dal più ampio consenso che probabilmente il Pd con lui raccoglierebbe. Monti non può chiedere i voti per se stesso: glielo impedisce la nomina a senatore a vita che, già data come ricompensa per vite politiche illustri, per lui lo è stata come viatico per una nuova vita. Monti dovrebbe quindi proporsi con una lista sua, formata da persone da lui scelte per realizzare programmi suoi: i sondaggi gli accreditano grande consenso, maggiore di qualunque altra formazione.
Ma come si fa a chiedere oggi il sostegno del Parlamento proprio a coloro a cui si dichiara di voler sottrarre i voti tra pochi mesi? Peggio ancora, chiederlo per fare, in questo scorcio di legislatura, le liste di riforme anche costituzionali che gli vengono compilate? Monti sperimenta le stesse difficoltà di Prodi, prima con la Bicamerale di D’Alema, poi con il Pd a vocazione maggioritaria di Veltroni. Quindi paradossalmente, nonostante la sua grande popolarità, la sola cosa che gli resta da fare è quella di Ciampi con Prodi: da ministro dell’Economia dare ad altri il contributo della propria autorevolezza. E siccome questo ragionamento l’avranno già fatto tutti, per questa via Monti può influenzare l’esito delle elezioni: rendendo esplicito, quando il quadro sarà più chiaro, con chi e a quali condizioni è disposto a farlo.
L’evoluzione da tecnico a politico potrebbe avvenire anche in uno scenario completamente diverso: quello di Monti al Quirinale. Gli italiani percepiscono che questo Governo ha il sigillo politico di Giorgio Napolitano. Se Monti gli succedesse al Quirinale, diventerebbe lui il continuatore del ruolo politico che ha avuto il suo predecessore; a chi gli subentrerà a palazzo Chigi toccherà un ruolo più tecnico. (E questa prospettiva potrebbe ridurre le sue possibilità di andare a ricoprire la massima carica dello Stato). Essere “di emergenza”, come è stato definito il Governo Monti, è da tecnico o da politico? Tecniche sono le competenze di economista e le esperienze di commissario europeo per cui è stato chiamato a sbrogliare una situazione critica: ma se per emergenza si intendono “i 10 spread che frenano le imprese” elencati dal Sole 24 Ore (del 22 settembre), ed eliminarle è “il” problema dell’Italia, di problema politico si tratta. I tecnici, già sarebbe tanto se scrivessero bene le norme. I politici sanno (e dovrebbero dirlo) che la tecnica non è neutrale, i politici conoscono (e dovrebbero ricordarselo) i pericoli della “presunzione fatale” e le sorprese delle conseguenze inintenzionali. La ragione per cui le cause di quei 10 spread non vengono rimosse sono gli interessi che ci stanno dietro: ci vuole la politica, non la tecnica, per convincere gli abitanti di questo Paese che esiste un piano diverso su cui gli interessi possono ricomporsi, un tempo diverso in cui possono realizzarsi. Nell’Italia del tempo presente, questo richiede prioritariamente di scegliere in quale dei due possibili modelli di Europa vogliamo stare. Vogliamo un’Europa in cui gli Stati liberamente convergono su politiche di bilancio sane, e per questo ci proponiamo di mettere mano alle cause degli spread, quelli strutturali e quelli finanziari che ne sono la conseguenza? O vogliamo un’Europa “transfer union”, in cui stare da sorvegliati speciali? «Se mi verrà richiesto, valuterò la proposta», ha detto Monti. Il modo in cui essere più utile al Paese incomincia dichiarando quale della due è la sua proposta.

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