Grexit, laicamente

febbraio 10, 2015


Pubblicato In: Giornali, Il Foglio


La questione posta dalla Grecia di Alexis Tsipras è politica, non economica; politica e non economica ha da essere la soluzione. L’abbiamo scritto in tanti, ultima Lucrezia Reichlin sul Corriere della Sera di sabato: “Un accordo tra Grecia e paesi debitori deve essere basato su princìpi generali, senza i quali l’Unione non può funzionare”. Dove i princìpi generali sono politica, i saldi di bilancio economia. Questo, continua la Reichlin citando Martin Wolf, perché l’Unione monetaria non è un impero ma un insieme di democrazie. Wolf, a dire il vero, aveva scritto “unione federale” invece che “impero”, e “stati” invece di “democrazie”; e aveva concluso che questo partenariato può funzionare solo se è una comunità di valori, e che la Grecia, se vuole qualcosa di notevolmente diverso, ha il diritto di uscire, ma che allora ne esca.

Con i princìpi generali, con i valori, questa “comunità” ha sempre avuto qualche problema, la volta che ci ha provato a metterli per iscritto ha subìto una bocciatura storica. A parte l’arroganza e la faciloneria, i colletti aperti di Tsipras e le camicie fuori dai pantaloni del suo ministro delle Finanze, quali sono i princìpi politici, vale a dire quelli non economici, che essi dovrebbero accettare per continuare a stare nell’euro? Tsipras chiede un prestito ponte e un taglio dei debiti: è un vulnus a quali princìpi?
Non vuole più che ogni suo atto di governo sia dettato o controllato dagli uomini della Troika: ma quella è una condizione contrattuale di finanziamento, non un’imposizione derivante da un trattato.

Princìpio politico sarebbe certamente chiedergli di fare marcia indietro rispetto alle promesse elettorali con cui è andato al governo. Ma arretrare rispetto a quali promesse? Tsipras vuole fermare privatizzazioni non ancora fatte: ma da noi il presidente del Consiglio considera Telecom una privatizzazione sbagliata e cerca il modo per rinazionalizzarne la rete; per l’Ilva si inventa un’inedita nazionalizzazione a mezzo affitto, dopo avere espropriato i proprietari senza indennizzo. Tsipras vuole aumentare il salario minimo: ma in Germania la coalizione fra Cdu-Csu e Spd l’ha introdotto come uno dei primi atti di governo.

In generale: quali condizioni politiche vengono richieste per fare parte dell’Unione europea? O, detto in altro modo: quali sono le condizioni poste alle politiche di un paese perché (gli altri paesi giudichino che) possa continuare a farne parte? Le cessioni di sovranità all’Unione costituiscono certamente dei limiti al “potere del popolo” e quindi alle politiche di governanti democraticamente eletti. Ad esempio: un paese che ha adottato l’euro, se lo abbandona e ritorna alla moneta nazionale, esce dall’Unione. I trattati europei ratificati dai parlamenti assumono rango costituzionale, e una loro violazione deve essere sanzionata dai singoli paesi come violazione della propria Costituzione. Un paese che limitasse la libertà di circolazione dei capitali si metterebbe fuori dall’Europa, sospensioni (come per Schengen) possono essere solo eccezionali e brevi.

Ma non è di questo che si parla quando si dice che per il problema greco ci vuole una soluzione politica: si vuole andare oltre. E andando oltre ci si avventura su un terreno molto pericoloso, per la democrazia e per la dialettica con i governanti greci e con il popolo greco. In Grecia e in Europa ci sono già sufficienti sentimenti antieuropei ingiusti, sarebbe davvero insensato offrire giusti motivi che li facciano aumentare. La soluzione politica rispetto alla soluzione economica dovrebbe sciogliere un nodo e invece lo aggroviglia, dovrebbe placare i risentimenti e invece li esaspera.

Il nostro “fa’ questo e vivrai”
Cercare una soluzione politica al problema greco è sbagliato e pericoloso. A meno che con “soluzione politica” non si intenda la “ragione politica” perché gli altri paesi trovino un accordo per la soluzione del problema economico greco, basato sulla valutazione del costo che essi potrebbero dover pagare per l’uscita della Grecia; e perché definiscano, e concordino con il governo greco i modi e i tempi per il rientro nelle condizioni poste da Maastricht. I famosi 3 per cento e 60 per cento saranno numeri stupidi, come diceva Romano Prodi, ma non ci sono altri “valori condivisi” in questa Unione.

Agli idealisti sembrerà una visione disperatamente arida. Ma liberarsi dai “princìpi” può essere una grande semplificazione. Al di là dei vincoli – al deficit di bilancio annuale e al debito totale (senza dimenticare, come invece è stato fatto, il saldo della bilancia corrente) – si apre la libertà delle politiche. Appartenere alla comunità europea di per sé non è in contraddizione con una forte presenza dello stato nell’economia, o con sistemi di tassazione ancora più vessatori di quelli mediamente presenti in Europa: ma è pressoché impossibile che simili politiche siano compatibili con i “numeri stupidi”. Essi sono, e non sia blasfemo il paragone, il nostro “fa’ questo e vivrai”.

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