Governo oltre le corporazioni

dicembre 17, 2011


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore


Giustificato l’orgoglio del Presidente Monti di avere portato in aula e fatto approvare in breve tempo la sua manovra. La sua rivendicazione di avere fatto le cose che i partiti non erano stati in grado di fare, si presta invece a essere variamente commentata: perché se c’è una cosa che i partiti sono sempre stati capaci di fare è quella di aumentare le tasse; né sembra possa considerarsi titolo di merito avere battuto il record di pressione fiscale, il 45,6%, (per coloro che le tasse le pagano significa il 54%). Anzi, guardando bene, sarebbe più corretto dire che Monti non è riuscito a fare cose che, bene o male, con ritardi e contraddizioni, comunque i partiti erano riusciti a fare, privatizzazioni da Oscar e liberalizzazioni a lenzuolate.

Anche nei ristretti limiti di tempo a disposizione, nulla impediva di indicare tipologie e valore complessivo di beni che il governo si impegna a dismettere entro una certa data, settori che intende liberalizzare, riduzioni di costi della pubblica amministrazione ha deciso di conseguire. Questo è per il Governo il momento di massima forza, chi lo contesta lo fa perché sa di poterlo fare impunemente, sicuro che Monti rimane saldo al suo posto: di qui il giudizio che si sia lasciata passare una situazione unica, di cui invece sarebbe stato lungimirante approfittare.
Per un governo di emergenza, farsi approvare una manovra forte da partiti deboli è la parte semplice. E’ nei riguardi dei loro elettorati che i partiti sono deboli, è da loro che non riuscirebbero a fare accettare non solo, e ovviamente, le alleanze politiche di emergenza, ma soprattutto i provvedimenti di emergenza. Il governo si trova quindi nella necessità di surrogare i partiti, bypassandoli nella loro funzione primaria e rivolgendosi direttamente ai loro elettori. Così si arriva al problema di fondo: quali sono i limiti di questa emergenza? E’ presentare piani che passino l’esame di Bruxelles, trovare le risorse necessarie, e dare assicurazioni a Berlino che verranno correttamente eseguiti? Oppure è andare alle cause del dissesto? Esse consistono non nella composizione e nei personaggi dei governi precedenti, ma nel non avere sconfitto le corporazioni che imbrigliano il nostro paese come i lillipuziani con Gulliver: si chiamano notai e farmacisti, taxisti e portaborse, società pubbliche e loro fornitori, comuni che danno licenze edilizie, e costruttori che le esercitano (e banche che li finanziano); si chiamano patti di sindacato e finanza bancocentrica. Emergenza è riprendere il filo dal 1994, oppure dagli anni ’70, quando sui conti pubblici incominciarono a farsi sentire le conseguenze di assetti istituzionali scritti nel timore del ritorno del fascismo e applicati nel timore dell’avvento del comunismo? Questo é un governo non eletto, composto da persone scelte per le loro competenze tecniche, che dureranno in carica un periodo imprecisato ma comunque breve, che, aldilà delle ambizioni dei singoli, non diventerà una forza politica che correrà alle elezioni: può un governo siffatto proporsi di realizzare i cambiamenti di politica e di società, di leggi e di istituzioni, cambiamenti che pure sono necessari per le riforme? Non è in discussione la sua legittimità a farlo: ma ne ha la capacità? Per fare solo un esempio: anche la riforma delle pensioni, che pure è l’unica vera di questa manovra, chiara per quanto riguarda i conti dello stato, siamo sicuri che sia altrettanto chiara alle famiglie quando faranno i conti, e che invece non richieda un cospicuo, diffuso impegno perché venga accettata? L’impressione che si ricava dalla manovra e dalle parole con cui è stata accompagnata, è di un forte scarto tra interventi di cui sono evidenti i limiti, e un‘ambizione che pare non porsene.

Considerazioni di questo genere hanno ancora maggior rilievo se dalla crisi della nostra finanza pubblica e dai rapporti con i partiti si passa alla crisi dell’euro ed ai rapporti comunitari. Sui taxi sappiamo tutto, ma il dibattito pubblico sulle regole a cui saremo assoggettati, sulla loro adeguatezza a ridare credibilità ai debiti sovrani dell’eurozona, sui modi con cui recupereremo il divario di produttività della nostra economia, sembra riguardare pochi appassionati del genere.

Non possiamo pagare due volte: se era necessario approvare a scatola chiusa la manovra per ricostruire, anche grazie alla personalità del capo del Governo, la nostra credibilità in Europa, dovremmo con questo aver riacquistato la libertà di discutere liberamente del nuovo corso di un patto in cui siamo parte storicamente ed economicamente rilevante. Leggiamo che Mario Monti avrebbe dato la sua adesione alla Tobin tax: è una tassa che fa parte della prima emergenza, per essere “promossi” da Bruxelles, oppure è un’offa che fa parte della seconda, per essere “graditi” a Berlino?

Nel progetto di riforma delle regole europee si contrabbanda per unione fiscale un insieme di regole per la disciplina di bilancio, che già l’anno prossimo non potranno essere applicate: infatti, mentre la manovra è costruita sull’ipotesi di una blanda recessione (-0,5%), oggi la previsione è -1,6%, ma i più pensano a un valore nettamente superiore. Facciamo un’altra manovra da 60 miliardi?

L’euro è una costruzione liberale, che al centro ha una banca che custodisce religiosamente la propria indipendenza dalla politica. E’ una contraddizione sostituire il controllo di mercato, che non è soggetto al potere delle lobby e agli interessi della politica, e che punisce con l’automatismo dei tassi di mercato, con il controllo budgetario da parte di una tecnocrazia con rapporti opachi con la politica, e con punizioni irrogate da contabili e giudici.

Che si tratti di rapporti interni al nostro Paese, cioè di riforme economiche ed istituzionali, oppure di rapporti comunitari, sembra necessario esplicitare gli obbiettivi che il Governo vuole darsi, e definire entro quali limiti l’azione del governo gode dei privilegi dello stato di emergenza.

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