Gli algoritmi di Bruxelles hanno riempito il vuoto dei riformatori italiani

novembre 14, 2013


Pubblicato In: Giornali, Il Foglio


Usa la metafora del “robot” Giuseppe Guarino per descrivere la situazione in cui sono stati posti i membri dell’Unione monetaria, quando lo spazio della politica economica degli stati è stato sostituito dall’obbligo di stare dentro i famosi parametri di Maastricht.

Per Antonio Pilati – lo ha ribadito ieri sul Foglio – è l’algoritmo a limitare la sovranità degli stati europei. Un’immagine che a me sembra più appropriata: il robot esegue, a contare sono le istruzioni. Per Guarino, si è trattato di un golpe. Certamente è stata una devoluzione di poteri, e quella siamo in molti a volerla, seppur con intenti diversi. C’è l’intento di chi, per rimediare ai danni provocati e alle sofferenze imposte dalla “robotizzazione”, propone ulteriori devoluzioni. E ci sono i fautori di uno stato minimo che “devolva” compiti all’iniziativa privata senza gravare sui conti pubblici. C’era anche Gary Baker alla riunione della Mont Pelerin Society a Vienna nel 1996, quando il progetto dell’euro venne considerato positivamente, proprio perché al suo centro ci sarebbe stata la più indipendente di tutte le Banche centrali, a cui gli stati avrebbero devoluto la politica monetaria. E’ una questione di separazione: la Banca di 17 sovrani ha più padroni e quindi nessun padrone. La Banca di un solo sovrano ha un padrone da cui non si può affrancare.
C’è un senso positivo di devolvere, far fare ad altri ciò che non c’è motivo che faccia lo stato. E ce ne è uno negativo, far fare ad altri ciò che lo stato dovrebbe fare e non sa (o non vuole) fare. Non c’è niente di male a usare i robot per lavori pesanti o precisi, a usare algoritmi per orientarsi nel caotico succedersi degli eventi: purché non lo si pensi surrogato della politica. L’uso del vincolo estero come sostituto della politica non è nuovo. Nel ’400, per risolvere una disputa successoria, l’Italia delle signorie chiese a Carlo VIII di invaderci. Oggi c’è chi pensa all’arrivo della Troika per far seguire i tagli alle spending review. Il debito non preoccuperebbe i mercati se intanto mettessimo in atto politiche per attaccare le cause per cui si è formato, dal mercato del lavoro al funzionamento della giustizia; il debito si ridurrebbe se si privatizzasse e non si scoraggiasse chi vuole investire in Italia: ma c’è chi invece preferisce evitare di affrontare i problemi con una bella patrimoniale, un taglio e via.
Guarino vede nella “robotizzazione” della politica la causa di una soppressione della democrazia. Io credo che essa sia una conseguenza della debolezza della politica e del governo. Abbiamo avuto un governo, quello di Mario Monti, in cui si è teorizzato che per fare le riforme si dovesse sospendere la dialettica politica destra-sinistra. Oggi ne abbiamo uno che la “dialettica”, e chiamala dialettica!, se la trova servita tutti i giorni: mostra di saper tenere il mare, ma difficilmente arriverà a fare le riforme. Quella della governance è il passaggio obbligato per affrontare e non subire i problemi, compreso quello indicato da Guarino. Noi abbiamo una Costituzione specificamente voluta e disegnata per avere governi deboli.
E’ vero che Giuliano Amato, in pochi mesi, ha avviato riforme di banche, pensioni e partecipazioni pubbliche; che con Carlo Azeglio Ciampi abbiamo eletto i sindaci; che Lamberto Dini ha riformato le pensioni; che Romano Prodi ha privatizzato e introdotto le liberalizzazioni di Tiziano Treu. Ma solo a prezzo di compromessi e presto restando vittima della debolezza di coalizioni eterogenee: come è successo pure a Silvio Berlusconi alla sua prima prova di governo. Nel suo secondo governo invece, godette di un consenso di proporzioni irripetibili, in Parlamento e nel paese. Sia chi la rimpiange come un’occasione perduta, sia chi vi vede una dimostrazione di incapacità, non sempre ricorda che in quella legislatura fu approvata una riforma della forma di governo in senso presidenzialista. Non eravamo neppure pochi, sui banchi della sinistra, a pensare che quella riforma aveva cose apprezzabili, che si sarebbero potute migliorare emendando anziché bocciando per principio. Anche questo è da mettere in conto all’antiberlusconismo armato. Poi la Costituzione del ’48 diventò “la più bella Costituzione del mondo”, e il referendum del 2006 spazzò via quella votata l’anno prima.
Il pamphlet di Guarino adotta “nell’analisi e nello svolgimento, [il] metodo sistemico-formale con identificazione delle fonti giuridiche utilizzate”. Lo fa, dichiara, “per evitare riflessi emotivi”. Si inserisce quindi con un approccio diverso nel filone di quelli che cercano soluzioni ai problemi dell’Europa nell’allentamento dei vincoli anziché nel loro irrigidimento, o che addirittura, con François Heisbourg, pensano che solo con l’abbandono dell’euro si riesca a salvare l’Europa nella “fin du rêve Européen”.
Intanto a Bruxelles la Commissione ha avviato “un’analisi approfondita sull’elevata eccedenza di bilancio” della Germania; a Berlino Cdu e Spd discutono per trovare una piattaforma del nuovo governo; a Strasburgo potrebbero essere molti i parlamentari euroscettici; e da Karlsruhe, un giorno o l’altro, arriverà la sentenza sulla costituzionalità dell’Omt, il piano di acquisto illimitato di titoli di stato predisposto dalla Bce per sostenere la moneta unica.

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