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Genocidio e gli ebrei di montagna

Pubblicato il 21/04/2022 @ 10:06 in Giornali,Il Foglio


La parola genocidio è ritornata più volte recentemente, da Zelensky alla Knesset come momento fondativo di quella nazione, da Biden come accusa, dalla CPI come possibile reato. Ma “genocidio” non è il superlativo di omicidio di massa, la sua unicità è oggettiva, non solo funzionale a isolare la mostruosità della Shoah. A illustrarlo serve un episodio accaduto durante la Seconda guerra mondiale in Ucraina e descritto da Jonathan Littell ne “Les bienveillantes”.

Siamo a fine 1942, uno dei momenti più drammatici della campagna di Russia, con i tedeschi che lottano per evitare di finire accerchiati in un gigantesco “Kessel”. E in quelle circostanze sorge il problema dei Bergjuden, e diventa una questione di principio. Il generale Von Kleist, comandante di tutte le truppe tedesche nel Caucaso, contava sulle tribù Cabarde per costruire e controllare un distretto autonomo. Quando le SS, dopo i funzionari comunisti, avevano cominciato a fucilare anche i Bergjuden, i Cabardi si erano ribellati: questi, dicevano, non sono di razza ebraica, sono una tribù di montagna convertita all’ebraismo. Mangiano come montanari, dicevano, vivono insieme a loro, si sposano tra loro: i Cabardi non accetterebbero che venissero uccisi e neppure che dovessero portare la stella gialla. Per la Wehrmacht, se non sono di razza ebraica e non presentano rischi, non è necessario che la Sicherheitspolizei prenda misure ostili; l’esercito formerà comunque una propria commissione di esperti, che riferirà al generale Köstring (non uno qualsiasi, sarà l’ultimo ad arrendersi a Stalingrado, due giorni dopo von Paulus). Anche per le SS i Bergjuden sono popoli orientali di discendenza indiana ma di origine ebraica arrivati nel Caucaso nell’VIII secolo, o da Babilonia: ma per loro tutti gli ebrei devono essere considerati corpi estranei, è una questione razziale. Fanno arrivare un loro esperto da Berlino, in aereo fino a Kyiv e poi in treno: ma le sue analisi linguistiche, di onomastica, di antropologia fisica del cranio e del naso si rivelano inconcludenti: resta solo la questione razziale. Che per le SS è la soluzione finale decisa della Conferenza del Wannsee, l’eliminazione dall’Europa di quello che oggi chiameremmo il Dna giudaico.

Senza dubbio non è questo l’obiettivo dell’invasore di oggi: non vuole eliminare il genus, ma la gens, è la Weltanschauung di chi vuole la libertà democratica che intende sradicare a tutti i costi. Ma chiamarlo genocidio è improprio, mentre quella che deve risplendere chiara è la volontà, disperatamente dimostrata dagli ucraini, di voler appartenere alla nostra associazione civile di stati: così, come scrive Adriano Sofri (Il Foglio del 16 Aprile), si perde di vista “l’interesse europeo a sostenere l’Ucraina aggredita che si difende, e a riaprire un’amicizia con una Russia non ridotta alla sua paranoia imperiale”.

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