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Franco Debenedetti: "Tremonti ora coinvolga anche economisti e Banca d'Italia"

Pubblicato il 25/11/2008 @ 14:58 in Giornali

“Il provvedimento più utile potrebbe essere quello di detassare i salari più bassi”
Un appello giusto. Ma che deve essere accompagnato da misure concrete e soprattutto che abbiano un impatto sull’economia «reale» in tempi relativamente brevi. Così Franco Debenedetti, economista, ex senatore Ds, consigliere di amministrazione di Cir, Piaggio e Cofide, giudica il «cambio» di approccio di Giulio Tremonti alla crisi, il passaggio dai toni foschi all’invito a non essere pessimisti.

«Il richiamo roosveltiano a non avere paura che della propria paura è diventato un classico di questi tempi — commenta — A dire il vero non fu il suo New Deal a far finire la grande depressione, ma si dovette attendere la guerra e i giapponesi a Pearl Harbour: non proprio un precedente confortante. Oggi Tremonti fa un appello ai “liberi e forti”. Non credo che da essi voglia escludere i “mercatisti” contro cui polemizzava o gli economisti a cui intimava il silenzio. E certamente vi comprende la Banca d’Italia, che ha funzioni di consulenza al Governo in materie economiche, e in primo luogo il Governatore Draghi, con cui potrà definire il modo con cui rafforzare le nostre grandi banche, e da cui trarre indicazioni su come agire a livello mondiale per evitare il ripetersi di eventi così catastrofici. L’appello a serrare le fila e a collaborare tutti insieme, ciascuno per la sua parte a uscire dalla crisi, è sicuramente appropriato: ma é quasi automatico pensare che il netto cambiamento di tono sia dettato dalla presa di coscienza di un’accresciuta gravità della situazione».
Quindi è un appello dettato ancora di più dalla paura di non riuscire a controllare la crisi?

«Tremonti è stato molto tempestivo e preciso ad ottobre nell’evitare che si sviluppasse una crisi bancaria estendendo ai risparmiatori la garanzia dello Stato. Ha rappresentato il Paese con autorevolezza nei consessi internazionali. È rispettoso delle istituzioni europee. Ora bisogna fare qualcosa. E farlo subito, prima che aumenti il numero dei disoccupati e il rapporto debito-Pil schizzi ben al di sopra dei fatidici parametri».
Una soluzione potrebbe essere quella di investire nelle infrastrutture che nel nostro Paese sono ferme da anni?
«Gli investimenti in opere pubbliche sono la classica manovra a cui ricorrono i governi in simili frangenti. Ma si tratta di una manovra comunque e ovunque relativamente lenta da mettere in atto. In Italia in particolar modo, dove sono da realizzare ancora alcune delle opere disegnate da Berlusconi sulla lavagna di Vespa nel 2001. Per evitare che le opere siano come i carri armati di Mussolini, bisogna eliminare le cause che impediscono di essere iniziate o compiute in tempi ragionevoli. Pare che ci siano cantieri dell’Alta velocità aperti ma inattivi. Fa un certo effetto sentire della Bre-Be-Mi (Brescia-Bergamo-Milano) che teoricamente doveva essere finanziata dalla finanza di progetto, mentre non si sa neppure se siano incominciati gli espropri. Si é sentito parlare di opere che dovrebbero fare le Autostrade, con qualche curiosità: non é che a un’impresa privata si può chiedere di fare opere da New Deal».
Allora quale potrebbe essere un intervento che porti effetti più immediati sull’economia?
«La misura di detassazione dei salari più bassi proposta da Francesco Giavazzi potrebbe essere attuata in tempi rapidissimi e avrebbe effetto sia sulla domanda sia sull’offerta perché ridurrebbe il costo del lavoro sulle imprese e aumenterebbe i soldi in tasca ai lavoratori. E poi ci sono le centinaia di migliaia di co.co.pro che perderanno il posto nei prossimi mesi e che non possono essere lasciati senza uno straccio di sussidio di disoccupazione. Le esortazioni troveranno maggiore ascolto se saranno accompagnate da misure rapide, non demagogiche e incisive».

Paolo Zappitelli

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