Finanza & Infrastrutture/ Perché no

luglio 17, 2006


Pubblicato In: Corriere Della Sera, Giornali

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Il rischio c’è. E giustifica il profitto

Se non c’ è rischio, non ci deve essere profitto: e siccome nel gestire infrastrutture – elettrodotti, metanodotti, reti ferroviarie – “il rischio praticamente non c’è”, queste devono essere ”estratte dal circuito della finanza di Borsa” e finire in una holding pubblica. A sostenerlo è Pellegrino Capaldo, intervistato da Massimo Mucchetti (Corriere Economia 10 Luglio pag. 5).

La mano pubblica le proteggerà da scalate ostili e si finanzierà emettendo obbligazioni, come quelle dell’IRI di Beneduce e di Mediobanca di Cuccia. Ineccepibile la logica deduttiva: ma regge il “chiodo” a cui è appesa? E’ proprio vero che il rischio del gestore di infrastrutture è quasi inesistente?

Il costo dei blackout
Certo, a organizzare i turni di qualche migliaio di manutentori delle linee elettriche ad alta tensione non si corrono grandi rischi. Già cambia il discorso per i sistemi di monitoraggio e di intervento automatico in caso di guasti. Ancor di più per le responsabilità di un black out: nell’adeguare la rete, il problema non sono i fornitori di tralicci, isolatori, cavi, ma comuni e regioni. A incassare i pedaggi delle autostrade, a manutenerne il manto di asfalto non si corrono grandi rischi. Ma i giudici che in caso di gravi incidenti sequestrano un’autostrada prefigurano responsabilità sistemiche in materia di sicurezza. Dieci anni dopo la decisione del Governo, sono stati inaugurati i primi pochi chilometri della Variante di Valico, i costi sono raddoppiati: chi ne risponde?

L’Italia è molto cambiata da quando i cavi elettrici imbrigliavano le montagne come i lillipuziani Gulliver, e l’IRI srotolava il tappeto dell’Autosole nel plauso generale. Dalle “antenne TV” si è sviluppato il sistema dei media, dalla “rete di trasporto” quello delle telecomunicazioni. Le infrastrutture sono diventate sistemi complessi e dinamici: non basta, come pensa Capaldo, “assicurare una governance professionale”, ci vuole un integratore di sistemi, il suo profitto è la contropartita di una responsabilità globale.

Il peso dei poteri pubblici
Ma il rischio sistemico è ancora poca cosa rispetto al rischio controparte, l’avere a che fare con i poteri pubblici. Se con le privatizzazioni si vendevano rendite ai privati, perché per Telecom è stato così difficile mettere insieme uno svogliato nocciolino duro, perché l’asta per Autostrade non è stata affollata? I mercati hanno buona memoria, a volte troppa diffidenza, quasi mai totale irrazionalità. Le privatizzazioni hanno creato un’interfaccia tra quelle che erano considerate articolazioni interne alla pubblica amministrazione, hanno separato lo Stato esecutore dallo Stato regolatore, lo hanno liberato dal conflitto di interesse. Dove prima c’erano solo partite di giro, all’interfaccia sono apparsi rischi e profitti. Da noi, certe concessioni hanno prodotto un rapporto tra gli uni e gli altri vistosamente sbilanciato: ma in Gran Bretagna era accaduto il contrario. Agli errori, quando sono visibili, si può porre rimedio. Invece, nell’opacità delle responsabilità indistinte, bisogna aspettare il lampo degli scandali per fare un po’ di luce.

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