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“Fattori attenuanti”: un nuovo vocabolo si aggiunge alla saga – e alle ambiguità – dei debiti per forniture alla PA

Pubblicato il 20/03/2013 @ 10:19 in Huffington Post,Varie


Ambiguità considerare che… non fossero debito, dato che per convenzione non vanno a formare il debito pubblico che conta ai fini del Patto di Stabilità.

Ambiguità nel recepire la direttiva europea (Ue 2011/7/UE), che obbliga a pagare entro 30 giorni, massimo 60, con interessi di mora dell’8% maggiorati del tasso di riferimento della BCE. L’abbiamo tradotta in legge con insolita prontezza, ben sapendo che ci sono debiti con ritardi misurati in anni, e che non sapevamo come smaltire.

Ambiguità nel calcolare entità dei debiti e dei ritardi. La Banca d’Italia, per stimarli, prende un campione di imprese in diversi settori, ricava i rapporti tra crediti commerciali e fatturato verso le P.A., applica questo rapporto alla totalità della spesa pubblica (siete ancora lì? ma è semplice, no?). Risultato 79 miliardi, nel 2011. La Corte dei Conti esamina i bilanci, ma solo quelli pubblici, non quelli degli Enti Locali e Regioni: risultato 17 mld nel 2010. Per l’Eurostat sono 67 mld nel 2011, il 4,3% del PIL, il valore più alto di tutta l’Unione Europea; abbiamo anche il primato dei ritardi, 186 giorni. Questi sarebbero, per l’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, 128 giorni con punte di 500-600 nella sanità. Per alcuni il totale dei debiti sarebbe 150 mld: e ci andrei piani a gridare al terrorismo finanziario.

Altre ambiguità sono in agguato anche adesso che sono arrivati i “fattori attenuanti”. Con quale criterio di priorità verranno pagate le aziende? Pro quota? Per anzianità del debito? Per dimensione di azienda? Per località? (O per quello che tutti sospettiamo?). Quanti sono i crediti “certi, liquidi ed esigibili”, che possono subito essere esibiti, e quante la “partite zoppe”, crediti del fornitore a cui manca qualcosa per diventare debito dello Stato? Quanto il contenzioso?

Errore sarebbe pensare che il ritardo nei pagamenti fosse dovuto al vincolo del patto di stabilità, e che ora si tratti di gestire del pregresso, di sfangare, un’attenuazione oggi, una domani, questa montagna di debito verso le aziende. Errore sarebbe confondere il dar da bere all’assetato con l’istituzione di un corretto bilancio idrico. Il vincolo acuisce i sintomi, ma l’”allentamento” non cura la malattia. Vale per i debiti commerciali quello che vale anche per il debito pubblico: se non si fanno le riforme saremo presto punto e a capo.

La riforma, in burocratese, si chiama “gestione del ciclo passivo degli enti della PA”: e già il nome spaventa e scoraggia. Alcune cose appaiono normali: semplificare le procedure, informatizzare le ordinazioni, fatturare obbligatoriamente per via elettronica, dematerializzare i pagamenti, centralizzare (anche a livello Regioni) acquisti e pagamenti.

Ma il vero problema è passare dalla logica del bilancio per competenza, che pone limiti agli impegni di spesa, a quella del bilancio per cassa, che pone limiti ai pagamenti. Passare dal controllo formale e preventivo alla gestione del cash flow, tenendone responsabile la dirigenza. Superare la logica basata sul vincolo ai pagamenti per esigenza di cassa.

A spaventare non è il nome del rimedio, è la constatazione che la malattia sta – ancora una volta- nel funzionamento della P.A. Non solo quando fornisce beni e servizi, ma anche quando li compera

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