Far come se il Cavaliere non esistesse

giugno 12, 2003


Pubblicato In: Giornali, La Stampa

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Una proposta per il centrosinistra: affrontare le questioni indipendentemente dal premier

“Ma quando vi decidete a mandare a casa Berlusconi?” questa, che mi rivolge una manifestante in Piazza Navona è, ovviamente, una battuta. Ma che rimanda a un tema serio, con cui il centrosinistra è alle prese dal 13 Maggio 2001 – dal giorno cioè della vittoria della Casa delle Libertà : che ruolo dare, nella propria strategia politica, alle due “anomalie” di Berlusconi, la questione giudiziaria e quella televisiva.

Sono convinto, ancor più dopo le discussioni a cui ha dato origine la vicenda del “lodo Maccanico”, che il centrosinistra ha molto da perdere se fa della denuncia di queste due anomalie la punta di lancia della sua strategia. Che dovrebbe invece guardare a quelle questioni senza strumentalizzarle, come due problemi a cui fornire risposte nel proprio programma. Che dovrebbe far proprio il principio enunciato da Grozio per rivendicare l’autonomia del diritto naturale da qualsiasi potere sovrannaturale. Per “mandare a casa Berlusconi”, la strategia vincente è ragionare come se Berlusconi non esistesse: “etsi non daretur”.

Le anomalie esistono, eccome: lo riconosce per primo l’interessato. La sua promessa elettorale di risolvere “questione televisiva” e annesso conflitto di interessi entro 100 giorni, concretizzatasi (con un bel po’ di ritardo) nel disegno di legge Frattini, è poi evaporata; che esista una “questione giudiziaria” lo testimoniano le numerose leggi, sia sulla materia dei reati sia sulle procedure per perseguirli, che ha fatto approvare proprio nel tentativo di eliminarla in radice.
Ciò che è in discussione non è l’esistenza delle anomalie, ma l’uso politico da farne. Prendiamo la questione giudiziaria. Si può anche negare ogni fondamento alle accuse che la Casa delle Libertà rivolge alla sinistra, di avere avuto un ruolo attivo nella asimmetria con cui mani pulite ha terremotato il panorama politico italiano; ma non si riesce a sanare il vulnus aperto che quelle vicende lasciano dentro la sinistra: basta aver sentito l’intervento di Ottaviano del Turco al Senato, discutendosi appunto del lodo Maccanico. Si possono respingere le accuse di avere favorito la persecuzione giudiziaria di cui sarebbe vittima Berlusconi, l’uso politico degli avvisi di garanzia: ma non si possono dimenticare i libelli pre-elettorali; e le speranze post-elettorali, tante volte sentite, che a risolvere la battaglia e a “mandare a casa Berlusconi” potessero essere i giudici, o l’Europa; o, faute de mieux/, il Belgio.
Quanto alla questione televisiva, era il Bossi prima maniera, quello del 1994, a minacciare di usare una norma antitrust contro Berlusconi; e ci sono personaggi del centrosinistra che ancora oggi, dopo 9 anni, 7 governi, 3 elezioni generali, invocano la norma amministrativa sui titolari di concessione per sostenere che chi ha avuto il voto della maggioranza degli italiani non ha legittimità per governare.

Una minaccia che terrorizza e una soluzione che affascina: questo sono le anomalie di Berlusconi per la sinistra, una testa della Medusa capace di paralizzarla, facendole perdere iniziativa e identità. Possono invece diventare due argomenti vincenti e convincenti, per “mandare a casa Berlusconi” alle prossime elezioni: sol che li si pigli per i capelli per quello che sono, senza preconcetti: etsi non daretur.

L’identità di una forza politica si definisce anche mediante le sue priorità strategiche. Il primato del lavoro, la preoccupazione per i più svantaggiati, la tensione verso l’eguaglianza, l’ambizione di promuovere lo sviluppo e il dubbio che bastino gli automatismi di mercato: sono i temi che definiscono il terreno cultural-politico della sinistra, per quanto ampio sia il ventaglio delle risposte che riformisti e radicali dànno a ciascuno di essi. Le questioni giudiziaria e televisiva sono prioritarie per componenti che una volta si sarebbero dette “borghesi” della coalizione: per la sinistra sono “anomale”. Alzare i toni, appellarsi a una nuova resistenza, diventa necessario per tenere insieme le ansie dei radicali di centro che vedono un “regime”, in atto o in fieri, e le preoccupazioni di chi vuole preservare i valori identitari della sinistra.

Giustizia e informazione soffrono per disastri propri, anche senza le anomalie berlusconiane. La giustizia negata dalla lunghezza dei processi civili, dal numero dei reati impuniti; la giustizia che i cittadini sentono lontana, per iniziative incomprensibili, decisioni sconcertanti. L’informazione televisiva bloccata in un sostanziale monopolio, mascherato da oligopolio, che lascia enormi guadagni a Mediaset, mentre il canone a stento basta a far quadrare i conti della RAI. Giustizia e informazione sono due temi da affrontare con testa sgombra da pregiudizi, sapendo che questo richiede anche di mettere in gioco rapporti consolidati nel tempo.
Il crollo della fiducia dei cittadini nella magistratura, questo è il problema: se non lo facciamo nostro, verrà messo a carico nostro. Si dovranno affrontare temi che, nel centrosinistra, sono tabù: incominciando col riconoscere che la separazione tra giudici e PM è la necessaria conseguenza dell’introduzione del processo accusatorio; e che l’ideale dell’obbligatorietà dell’azione penale significa in pratica una sostanziale discrezionalità.
Verso l’azienda pubblica televisiva, si dovrà riconoscere che la garanzia del pluralismo non sta nella lottizzazione, o in arcani equilibri di consiglieri, o in alambiccati criteri di nomina. E’ ridicola l’idea di “punire” Fininvest minacciando, di rinvio in rinvio, di spedire Emilio Fede sul satellite, consentendo in realtà al gruppo di operare senza effettiva concorrenza. Si congeli per un po’ Fininvest com’è: ma non si attenda neppure un momento in più a dar vita a un mercato concorrenziale, smettendo di trattare la RAI come una proprietà contesa tra le forze politiche e facendone un’azienda contesa tra imprenditori privati.

Insomma, il governo Berlusconi é due cose: é il tentativo di stravolgere leggi e decenza per salvare se stesso e la “roba”; ed è anche un tentativo, mal riuscito, di trovare scorciatoie per risolvere i nostri problemi reali: una pressione fiscale eccessiva a coprire una spesa pubblica inefficiente, carenza di investimenti, un percorso titubante tra liberismo e colbertismo, l’incapacità di arrestare quella che sta profilandosi come una gigantesca deindustrializzazione dell’Italia. La mia modesta ma convinta proposta é che la sinistra presti più attenzione a questo secondo aspetto, e che lo rappresenti al Paese. Senza farsi né terrorizzare né affascinare dalle “anomalie”.

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