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Falso in bilancio, è solo voglia di rivincita

Pubblicato il 31/10/2007 @ 12:32 in Corriere Della Sera,Giornali

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Intervista al senatore Franco Debenedetti

ROMA — «Necessità di adeguare la legge alla realtà dell’attività economica e dell’amministrazione della giustizia c’erano: ma la voglia di rivincita ha prodotto una riforma giacobina ». Il disegno di legge sul falso in bilancio non piace a Franco Debenedetti, voce critica del capitalismo italiano, ex senatore Ds.

Cosa non la convince?

«L’ideologia secondo cui per cui gli amministratori devono dare una fedele rappresentazione della “verità”, e il documento rappresentare la vera realtà aziendale. Così un documento inesatto è dolo “in re ipsa”».

Ma la trasparenza dei bilanci non è un interesse pubblico?

«E chi lo nega? Ma le nuove norme dànno valore alla veridicità formale, più che al danno recato a soci o creditori. Sono state eliminazione del tutto le soglie minime al di sotto delle quali la punibilità era esclusa. Si procede d’ufficio, e data l’obbligatorietà dell’azione penale, si avrà un ingolfamento degli uffici giudiziari, col rischio che nella rete rimangano tanti reati minori. L’aumento delle pene consente l’uso di intercettazioni e di altri strumenti della demagogia penale. Scrivere che la norma non comporta ulteriori oneri per lo Stato è evidentemente falso».

Ma se irregolarità ci sono non è giusto sanzionarle?

«Certo: ma se uno parte dalla constatazione che le imprese sono un fascio di contratti, invece di pensare sempre solo al penale, non è più logico pensare al civile? I suoi tempi saranno anche lunghi, ma non c’è prescrizione, e quando arrivano sono stangate. Questo ha un grande effetto preventivo».

Lei non votò la legge del centrodestra che ammorbidì la linea. Sembra di capire che quel testo le piacesse di più.

«Sia chiaro: quella legge Berlusconi la fece per il proprio interesse, e questo era l’aspetto odioso. Ma per i reati più gravi, non cambiava molto, e veniva incontro alla riconosciuta necessità di modificare la legge Rocco. Come faceva d’altronde anche la proposta Mirone, redatta quando alla Giustizia c’era Piero Fassino».

Ma con quella legge era più difficile avere prove di reati più gravi.

«Ricorda Mani Pulite? Il falso in bilancio fino ad allora era la cenerentola dei reati commerciali: fu utilizzato per sostenere altre accuse. Non appartiene alla civiltà giuridica sanzionare un comportamento non per quello che rappresenta in sé, ma come mezzo per arrivare ad ottenere prove di altri reati».

Lorenzo Salvia

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