False scalate e veri spioni dalle parti del Corriere

novembre 17, 2006


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di Riccardo Gianola

La scena più gustosa del libro «Il baco del Corriere» di Massimo Mucchetti, compare a pagina 12. Il giornalista racconta che il 5 novembre 2004, alle nove di sera, l’amministratore delegato Vittorio Colao gli si presenta davanti. Prende un pezzo di carta bianca sulla scrivania e scrive una domanda in stampatello. “Dove possiamo parlare in sicurezza?”». Mucchetti gli risponde sempre per iscritto, per evitare evidentemente che qualcuno ascolti le loro voci: «Troviamoci sotto, all’angolo fra Solferino e Moscova».

Così i due protagonisti di questa spy story sui Navigli si incontrano davanti al bar Ted One, mitico luogo dove i giornalisti del Corriere consumano il loro Negroni quotidiano. Il capo azienda riferisce una confidenza al giornalista: «Sei stato oggetto di un tentativo di spionaggio. Qualcuno ha cercato di penetrare nel disco locale del tuo computer. Sembra che non ci sia riuscito (…) Siccome la stessa operazione è stata fatta ai danni miei e dei miei più stretti collaboratori, ho pensato fosse mio dovere di uomo, prima ancora che di manager, metterti sull’avviso». Capito che ambientino? Siamo in via Solferino, nella sede del più grande e autorevole giornale italiano, secondo alcuni un’istituzione tanto che l’anno scorso, in occasione della presunta scalata di Ricucci alla Rcs, qualche politico di centrosinistra aveva immaginato un intervento protettivo. Bene, in questa sede l’amministratore delegato non si sente sicuro di poter parlare con un dipendente. Anzi, entrambi sono vittime di un tentativo di spionaggio. Qualcuno cerca di carpire i loro segreti. E c’è da pensare che gli spioni che hanno infestato il paese, senza trascurare il Corriere, non facessero i loro traffici per scoprire amanti o devianze sessuali. Ma per questioni attinenti all’esercizio del potere, al controllo dell’informazione, alla scelta dei fedelissimi. Non sappiamo se questa vicenda sia stata una forma indebita di pressione per convincere Colao a lasciare la sua carica di amministratore delegato nell’estate del 2006, questo lo chiarirà eventualmente la magistratura, sappiamo però che Mucchetti non ha cambiato giornale e anzi sulla sua vicenda personale e sul caso Corriere ci ha scritto un libro che non piacerà a qualche prestigioso azionista. Mucchetti è un bresciano testone, con la fama del rompiballe per il mondo delle aziende perchè ha la passione di indagare tra le pieghe dei bilanci e nelle confraternite del potere. Al Corriere ha la carica di vice direttore ad personam: vuol dire che è un giornalista di un certo livello, ma non ha responsabilità di direzione e di organizzazione. Insomma, siede in panchina. Il giornalista si è messo a scrivere il libro quando ha appreso che la Procura di Milano aveva avviato un’inchiesta sulle intrusioni di presunti hacker nel suo computer, sulle intercettazioni telefoniche, sui dossieraggi di cui si sarebbero resi responsabili alcuni gangster che trafficavano tra telefoni e servizi segreti. L’inchiesta ha spedito in carcere Giuliano Tavaroli, ex capo della sicurezza di Pirelli e di Telecom, ed Emanuele Cipriani, responsabile di una società di investigazioni private. Il primo è ancora in galera e, nei giorni scorsi, con un’intervista a Repubblica ha mandato un messaggio a chi doveva sapere: «Io non parlo…». Cipriani, invece, è fuori perchè pare abbia collaborato. Che relazione esiste tra lo spionaggio di Colao e Mucchetti e l’inchiesta sulle intercettazioni? E’ possibile immaginare che se l’indagine sugli spioni Telecom fosse stata anticipata di qualche mese la vicenda Ricucci, finito in galera e poi sull’orlo del crac per la presunta aggressione al Corriere, avrebbe avuto una conclusione più serena? E magari la Bnl sarebbe finita all’Unipol anzichè ai francesi? E ancora: possiamo ipotizzare che Tavaroli fosse in qualche modo intervenuto, sfruttando le sue delicate funzioni in Pirelli-Telecom, nella battaglia dell’estate 2005 quando gli azionisti del Corriere si trovarono a fronteggiare quell’attacco di Ricucci che alla fine produsse al massimo un po’ di «insonnia» al direttore del Corriere della Sera, Paolo Mieli, come ammise in un’intervista a Vanity Fair? Certo Mucchetti, la cui ambizione è anche quella di suggerire una proposta – assai velleitaria – di riforma dell’assetto di controllo del Corriere , non risponde a tutte le domande. Ma noi dell’ Unità possiamo confermare, per esperienza diretta, che certo esiste una relazione tra le battaglie finanziarie e di potere degli ultimi anni, lo spionaggio e il tentativo di controllare l’informazione da parte di grandi potentati economici. Un giorno Tavaroli, capo della security Telecom, chiese di incontrare la direzione dell’Unità e domandò, con un atteggiamento non proprio amichevole,come mai fossimo critici con Tronchetti Provera. Gli fu risposto che i giornali fanno semplicemente il loro mestiere. Se ne andò convinto che ci fossero chissà quali dossier… Ecco, in questo calderone di affari, interessi, presunti raider e veri spioni, Mucchetti scrive cose coraggiose, fuori linea rispetto al suo giornale. Tanto che qualche lettore potrebbe chiedergli: ma perchè resti lì? Mucchetti riconosce che la scalata di Ricucci è stata una grande bufala e bisognerebbe scrivere un’altra storia, magari con dossier tv di Pigi Battista su La7. «Definire resistibile l’ascesa di Ricucci non è un vezzo brechtiano – sostiene – è un modo per attribuire agli avvenimenti il loro peso reale, anche a costo di rivedere la storia ufficiale della scalata al Corriere…». L’altro punto che ci piace segnalare, anche perchè lo abbiamo scritto mille volte, è quello relativo all’opa di Unipol sulla Bnl. Ecco: «… il successo di Unipol avrebbe indebolito due azionisti eccellenti di Rcs: Diego Della Valle, socio di Bnl, e Marco Tronchetti Provera che, pochi mesi più tardi, avrebbe dovuto trattare con Gnutti, alleato di Consorte, il divorzio di Hopa da Olimpia (…) la nascita del quinto conglomerato finanziario italiano (rappresentava) un nuovo centro di potere economico che, a differenza dei quattro maggiori, non sarebbe stato scalabile perchè avrebbe avuto come capofila l’Unipol dove le coop avevano la maggioranza assoluta». Anche su Unipol-Bnl c’è da fare un po’ di revisionismo? «Il baco del Corriere» funziona fino a quando l’autore rimane legato alla ricostruzione, ai fatti, ai personagi. Ma la conclusione è deludente. Mucchetti, dopo la descrizione non proprio edificante dei suoi azionisti, propone un’autoriforma della compagine azionaria del Corriere. Una pubblic company protetta, garantita da un’azione speciale contro i malintenzionati. Il modello è britannico, quello della Reuters, una delle grandi agenzie di informazioni al mondo. La proposta è un’illusione, non succederà nulla, anche se sarebbe curioso vedere le facce di Tronchetti Provera, Della Valle o Geronzi davanti all’opzione british. Forse Mucchetti lo chiameranno per un paio di dibattiti, ci sarà qualche articolo. Poi tutto tornerà alla feroce tranquillità dei patti di sindacato.

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