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Europa dell’Est, Europa del Sud

Pubblicato il 12/11/2000 @ 18:15 in Giornali,La Stampa


Ha proprio torto il Presidente di Confindustria quando mette in relazione l’allargamento dell’Europa all’Est con l’autorizzazione a introdurre sgravi fiscali per il rilancio del nostro Mezzogiorno? Per aver proposto questa sorta di scambio, Antonio D’Amato è stato bersagliato di accuse: prima il «Corriere della Sera» con un corsivo di insolita durezza, poi quasi tutti i commentatori, hanno bocciato il do ut des, come politicamente indecente e logicamente incoerente, non fosse altro che per la mancanza di nesso tra i due temi.

Debitamente riconosciuto che di scambio non è proprio il caso di parlare, si dovrà però convenire che i due temi non sono poi così remoti tra loro: ridurre i divari economici con i Paesi neo inclusi sarà obbiettivo strategico per l’Europa, i fondi a disposizione saranno più o meno gli stessi, ne resteranno pochi o punto per il nostro Mezzogiorno. Il permanere di una così vistosa disparità all’interno di uno dei grandi Paesi d’Europa, non è solo un problema italiano. Bisogna risolverlo prima, dice D’Amato: il primo nesso è quindi il tempo, il poco tempo che cí resta, dopo che ne abbiamo perso tanto.
Il secondo nesso è quello tra competitività e carico fiscale. Da quando l’avvocato Agnelli la denunciò due anni fa a Cernobbio, la Confindustria continua a rilevare la perdita di competitività del «sistema paese». Dedurne di chiudere le frontiere è insensato, ma indicare che l’apertura ai Paesi dell’Est esalta un fenomeno già in atto è responsabile. Ed è corretto indicare nel fisco lo strumento a cui por mano. D’altra parte questo tema ormai è sul tavolo, per tutta la campagna elettorale si discuterà di come andare oltre il
molto che si è fatto in questa legislatura, sul piano normativo, di recupero dell’evasione e di inizio di riduzione. È stato il candidato premier del centrosinistra a dirsi d’accordo con i tagli all’Irpeg proposti dal Presidente di Confindustria. Sono stati il capo socialdemocratico Schroeder e quello della gauche plurielle Jospin a varare piani di riforma per ridurre carico fiscale e aliquote marginali, prima che il leader della Casa, Silvio Berlusconi, avanzasse le sue mirabolanti proposte. La manovra in due tempi di D’Amato, una riduzione secca prima al Sud e poi al Nord, collegata all’emersione dell’economia nera, si inserisce quindi in un contesto che ormai interessa tutta l’Europa.
C’è infine un terzo nesso. Con l’allargamento ad Est entrano Paesi con un Pil inferiore a quello di molte macroregioni o addirittura di qualche regione. La dimensione regionale è la sola che ha senso per i piani di sviluppo, e la riduzione delle imposte è lo strumento più virtuoso. Tema delicato, ci sono i patti di stabilità da rispettare: ma che nella costruzione europea, oltre ai pilastri nazionali, entrino anche i mattoni regionali è una chiara linea di tendenza.
Il Mezzogiorno è il massimo dei nostri problemi. Abbiamo pochi anni per affrontarlo con un programma di emergenza, in tutti i sensi del termine; la leva fiscale usata in modo energico è lo strumento giusto. Che ad accogliere i nuovi soci ci sia un’Italia forte, che ha risolto il suo principale problema, è anche nel loro interesse. Pare che siano più di 500.000 i miliardi versati nel Mezzogiorno nel solo dopoguerra. Alcuni sono serviti a finanziare studi per spiegare perché nessuna delle varie politiche fin qui seguite ha funzionato: al contrario di quella di D’Amato, erano tutte assolutamente politically correct.

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