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E' l'ora dei tagli alle spese. Cominciamo dagli statali

Pubblicato il 28/08/2007 @ 15:07 in Giornali,Il Sole 24 Ore

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DOVE RISPARMIARE

Il gran dibattito estivo sulla questione fiscale, aldilà di sparate populistiche e di sortite autolesionistiche, di interventi dottrinari e di preoccupati avvertimenti, su un punto sembra convergere: la pressione fiscale deve essere ridotta, nuove risorse di possono venire solo da riduzione di spese. Quali spese e come ridurle?
La tesi che qui si sostiene è che le spese da ridurre sono quelle della Pubblica Amministrazione; e dato che esse consistono per la maggior parte di stipendi, i risparmi devono venire dalla riduzione del numero dei dipendenti.
L’approccio convenzionale alla riduzione delle spese della P.A. è maltusiano, usare il vincolo di bilancio per porre un limite all’aumento dei consumi e del numero dei dipendenti. Ma i limiti, proprio perché vissuti come conseguenza di un vincolo, sono nella pratica elusi. Licenziare i fannulloni, atto dovuto per ristabilire la legalità, sarebbe quantitativamente inadeguato. La politica di “affamare la bestia”, da noi sembra improbabile. Ciò che qui si propone è altra cosa: infrangere il tabù, perseguire la riduzione del numero dei dipendenti nella P.A. di per sé, come la via per rendere più efficiente la macchina. Spendere meno per spendere meglio.

L’idea è perfin banale: fare nella P.A. la stessa operazione che quotidianamente si compie nel sistema produttivo sotto lo stimolo della concorrenza, che è tutt’altra cosa dalla ristrettezza di bilancio. Certo, lo Stato non è un’impresa, e la P.A. non è un’azienda: ma ci sono dinamiche comuni a tutte le organizzazioni non esposte a pressione competitiva, che le appesantiscono, le rendono autoreferenziali, preoccupate di proteggersi dai rischi e di assicurare la propria sopravvivenza. Il rimedio è sempre lo stesso, ridurre il numero degli addetti, incominciando dai piani alti, e ridisegnare le procedure per un organico snellito: ma cruciale è la sequenza delle due fasi.

Ci sono fallacie di cui si deve sgombrare il campo. Una è quella per cui lo “snellimento della P.A.” potrebbe significare l’uso intensivo delle tecnologie, come ha sostenuto il Ministro Nicolais in un dibattito al Meeting di Rimini con questo titolo: non ha senso automatizzare funzioni inutili, è controproducente rendere efficiente ciò che pesa e ingombra. Il numero delle interazioni cresce esponenzialmente con il numero dei soggetti che vi partecipano, ridurlo è la sola strada per ridurre l’entropia che così si produce. Nessuno “snellimento” potrà mai essere implementato in presenza di organici eccedenti, che vanno invece separati per essere riconvertiti a occupazioni nuove.

Oltre alla fallacia della “fuga” nella tecnologia, c’è quella della “fuga” nella qualità: l’idea cioè che si tratti solo di innalzare il livello delle prestazioni offerte dalla P.A., e che, a patto di migliorare la qualità, si possa sempre trovare un punto di equilibrio tra ciò che lo stato preleva e ciò che lo stato fornisce, a qualsiasi dimensione del bilancio e quindi con qualsiasi numero di addetti. Ma questo non è vero per una ineludibile ragione economica: il costo marginale del prelievo fiscale è crescente, mentre il beneficio marginale della spesa è decrescente.

Ridurre il numero dei dipendenti della P.A. sarebbe un mutamento epocale, ma non diverso dagli altri che abbiamo vissuto, dall’agricoltura all’industria negli anni del miracolo economico, dall’industria ai servizi da tempi più recenti: con queste dislocazioni il Paese è cresciuto, mentre la disoccupazione è diminuita. Ai dipendenti dovrebbe comunque essere riconosciuto un sussidio a carico dello Stato, che ridurrebbe il risparmio, ma che, a differenza dei modi a volte sbrigativi usati degli anni ’70, consentirebbe di accompagnare la riduzione di organici con un lavoro di riconversione degli eccedenti.

Che si debbano ridurre gli organici della P.A. lo ha detto certificato il Governo, l’hanno confermato le organizzazioni sindacali, nel caso INPS- INPDAP, già analizzato su queste colonne. Con la fusione dei due enti previdenziali si otterrebbe un risparmio di 3,5 miliardi Euro in 10 anni: spese eliminate, non spostate su altri capitoli del bilancio dello Stato, dunque conseguenti alla riduzione del monte stipendi, per circa 10.000 dipendenti. Quella riduzione è stata accettata solo perché il Governo rischiava di inciampare sullo “scalone”: possibile che la strada della riduzione degli organici nella P.A. debba di necessità essere fatta a “scaloni”? Per Stefano Folli (Il Sole24Ore del 25 Agosto) “la questione fiscale decide le sorti del Partito Democratico”; per il Presidente di Confindustria è “un’emergenza nazionale”: ragioni di ben più generale importanza della progressione dell’età della pensione per un limitato numero di lavoratori. Se così è, perché non estendere quel singolo esempio?

Walter Veltroni, nel saggio pubblicato su Repubblica venerdì scorso, ha posto a cardine della propria azione politica l’uscire dalla costrizione delle alleanze obbligate, per muoversi nella libertà di programmi scelti. Anche la questione fiscale dovrebbe dar luogo a un simile rovesciamento: il vincolo il bilancio non più solamente come costrizione, ma come strada per aumentare l’efficienza della P.A., riducendo il numero dei suoi addetti. Riuscirci non sarà facile, l’importante è cominciare: rompere il tabù.

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