È ipocrita esortare alla pazienza mentre si tollera l’ignoranza

aprile 1, 1993


Pubblicato In: Varie


Stracciarsi le vesti per denunciare l’indegna gazzarra al senato e l’aggressione a La Malfa a Milano, rilevare la discutibilità di esternazioni ufficiali della Procura di Milano nei riguardi di un provvedimento legislativo, non saranno solo l’esibizione di civile virtù e di illuministica tolleranza? Fin quando si può cercare di tenere separata l’indignazione “buona”, quella dei civili appelli al Capo dello Stato perchè non firmasse il decreto Conso-Amato, da quella “cattiva” degli insulti e delle aggressioni?
Da più di un anno, ogni giorno una rivelazione ormai comune, gogne e ghigliottine: la civile esecrazione come alimento della coscienza inquieta.

Ma si può chiedere di assistere civilmente allo spettacolo , un’overdose di scandali, i titoli sempre più grandi, gli editoriali sempre più indignati e, come antidoto, la razionalizzazione delle analisi acute e l’esortazione ad evitare, come recita il luogo delle rivelazioni di tali vizi pubblici e privati, allo squallore di tardive ammissioni, confessioni e chiamate di correo all’arroganza di difese impossibili, attendendo che i giudici esaminino un fascicolo dopo l’altro, i consigli d’amministrazione sostituiscano i membri inquisiti, il parlamento, compatto solo quando scopre che i “suoi” imputati vengono tradotti al processo in manette, trovi l’accordo per una legge elettorale?
Chi ha sempre cercato di capire e di distinguere, più preoccupato di individuare le basi su cui ricostruire che intento a contemplare le macerie, si sente legittimato a ricordare che esigere la punizione fa parte del comune senso di giustizia, che la tragedia esige la catarsi. Può diventare ipocrita usare due pesi e due misure: esortare alla pazienza e tollerare l’arroganza, chiedere di capire e tardare a spiegare, condannare gli eccessi di Miglio e accettare il pragmatismo di Amato.
All’interno della plebiscitaria richiesta di spiegazioni e di punizioni, sembra prevalgano le comunanze rispetto alle differenze. Queste riguarderanno semmai la graduazione di responsabilità attribuita a corruttori e a concussori, sa ranno tra chi i colpevoli li vuole in esilio e chi in galera. Mentre comuni sono le convinzioni che i fatti siano largamente probanti, che, per la pervasività del regime, le colpe politiche siano anche colpe penali e che queste esigano una rapida condanna. Comune è la richiesta di una soluzione politica.
I decreti Conso-Amato sono frutto di un equivoco, pensare che “soluzione politica” significhi la soluzione per via politica di un problema di amministrazione della giustizia. Soluzione politica vuol dire riconoscere la natura politica del disegno globale di cui giorno dopo giorno veniamo a conoscere le ingloriose gesta, vuol dire riconoscere che, se si scopre che un paese è stato spoliato appalto dopo appalto, comune dopo comune, tutti coinvolgendo, imprese grandi e piccole, pubbliche e private, pagando per costruire e costruendo per pagare, tassando attività produttive ed invenzioni finanziarie, sarà pure lecito chiedersi se tutto ciò è avvenuto per caso, se questo modo così scientificamente sistematico di gestire il paese non sia da imputarsi direttamente a quelli che in questi anni della gestione del paese hanno avuto le responsabilità massime.
Non ci si stancherà, a questo proposito, di individuare la natura globale di questo sistema, la saldatura tra i vari poteri dello Stato, il blocco che poteva controllare l’erogazione del credito, la concessione di cassa integrazione, incentivi alla ricerca ed agli investimenti, i flussi di commesse ed appalti che aveva nel settore allargato delle imprese pubbliche (il 50 per cento dell’economia) un braccio secolare, sia per procurarsi finanziamenti che per costituire un’alternativa in “concorrenza” anche nelle tangenti con l’imprenditoria privata. Nè di ricordare i passaggi, politici, non casuali, attraverso cui ciò è stato possibile: occupare tutti i posti chiave, dequalificare la pubblica amministrazione e ridurne l’autonomia decisionale, intimidire la magistratura col referendum e depotenziare il suo organo di autogoverno, controllare i media televisivi di Stato e garantirsi l’appoggio di quelli di nuova creazione, operando affinchè modifiche istituzionali rendessero inattaccabile il sistema di potere e lo perpetuassero. Soluzione politica vuol dire ricomporre il puzzle dei singoli scandali, individuare il canale collettore di tutti i rivoli, rifiutarsi di considerare il formarsi di questo blocco come un malaugurato portato della storia. Non vuol dire preoccuparsi di ridurre il carico di lavoro dei giudici: vediamo anzi quanto sia opportuno che continuino nella loro opera di disboscamento. Vuol dire trovare l’alta corte, il gesto solenne, per individuare e condannare, di fatti così gravi ed eccezionali, i responsabili primi. E farlo rapidamente.
La presa di distanza verso chi si esalta a violenze ed insulti ha da essere chiara: nè ci si stancherà di ricordare che è il modo di richiedere ed amministrare giustizia ciò che fa civile la convivenza. Ma sarà anche il caso di riconoscere che, sotto il drappeggio dei nobili sentimenti e delle analisi intelligenti, ci sono convinzioni ed esigenze comuni con quelle di chi viene sedotto da più rozzi propositi.

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