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È ancora in salita la via dell’opposizione

Pubblicato il 11/01/1995 @ 11:17 in Giornali,La Stampa


Caro Direttore, Gianni Vattimo si stupisce dell’«opposizione silente» (La Stampa di lunedì): questa, dopo essere «riuscita a fare un primo grande passo» con la «grandezza dell’impresa compiuta con l’abbattimento di Berlusconi», ora sarebbe vittima di «un incantesimo paralizzante» prodotto dalla «malefica presenza del cavaliere».
Strano che Vattimo trovi silenziose le opposizioni nonostante la veemenza delle accuse lanciate da esponenti politici (e non solo dall’ala bossiana della Lega) e da grandi organi di stampa; strano che faccia ricorso a categorie non propriamente politiche quali gli incantesimi e le malefiche presenze: non sarà che c’è qualcosa di sbagliato nelle assunzioni da cui parte? Ossia, è proprio vero che Berlusconi è stato abbattuto ed in particolare che lo è stato dall’opposizione? Di fatto le cose non stanno propriamente in questi termini: il governo Berlusconi è stato messo in minoranza da una frattura consumatasi nell’eterogenea maggioranza parlamentare su cui si poggia; e Berlusconi sarà abbattuto per davvero il giorno che non avrà più il sostegno di quegli elettori che gli hanno permesso di conquistare la maggioranza di seggi alla Camera.
Vattimo sembra sostenere che ci sia stata una vittoria tattica dell’opposizione (aver fatto esplodere una contraddizione interna alla maggioranza) e che ora manchi la capacita di tradurla in vittoria strategica (conquistare la maggioranza dell’elettorato). Non c’è stata vittoria tattica: non solo non c’è un progetto politico che consenta di aggregare almeno una parte della Lega (per non parlare dell’ala moderata di Forza Italia), ma addirittura si rischia di vedere indebolito il rapporto che univa all’opposizione popolari e progressisti. E non c’è prospettiva strategica; perché delle due l’una: o si ritiene che la convergenza in una maggioranza di pds, popolari, Lega e Rifondazione (il cui contributo numerico appare sempre più indispensabile) è possibile su pochi punti per un ordinato momento elettorale, ed a ciò bastano davvero pochi mesi; oppure l’intesa è senza vincolo temporale, perché volta al risanamento dell’economia: ma ciò comporta o la totale rinuncia di Rifondazione alle proprie convinzioni politiche, o l’azzardata scommessa di conciliare con queste la necessaria credibilità internazionale. Invece di elaborare una prospettiva strategica, si è offerta alla maggioranza l’insperata occasione di distrarre l’attenzione pubblica dalla sua manifesta incapacità a governare, dalla sua rovinosa condotta di politica economica, dalle spaccature sociali prodotte dal suo «thatcherismo senza qualità», per spostare il discorso su terreni più astratti, per radicalizzarlo in termini di contrapposizione viscerale. E su questo terreno non possiamo dire di essere risultati vincenti: le analisi appassionate e brillanti che, con Gianni Vattimo e con tanti altri benpensanti abbiamo saputo produrre, non hanno spo-stato molti voti, mentre la mistificazione di aver agitato il pericolo illiberale e «comunista» ha già fatto vincere a Berlusconi le elezioni.
La questione si può anche affrontare da un altro punto di vista: c’è chi considera il berlusconismo come un male da estirpare comunque e al più presto, con un comitato di liberazione, come si è fatto esattamente 50 anni fa contro il fascismo, o con un patto di solidarietà nazionale, come si è fatto contro il terrorismo. Se di questo si è convinti, allora non conta l’eterogeneità delle forze che si uniscono, conta solo la causa comune della battaglia per la democrazia. Chi aderisce a questa visione deve mettere in conto non solo i costi di alimentare uno scontro con il 40% dell’elettorato italiano, ma altresì il rischio che le differenze, politiche alla fine determinino l’insuccesso dell’intero progetto. Al contrario, il berlusconismo non è la malattia infantile del maggioritario, è là forma che concretamente il maggioritario ha assunto alla sua prima e parziale realizzazione. Di fronte alla situazione involutiva cui era giunta l’amministrazione della cosa pubblica, abbiamo sostenuto che il maggioritario avrebbe posto le condizioni per riprendere la strada dello sviluppo. Su questa strada il berlusconismo, con le sue approssimative rozzezze, le sue ineliminabili contraddizioni, il suo inestricabile miscuglio di populismo e di autoritarismo, è in grado di fornire solo risposte di respiro breve: ad esse bisogna saper opporre risposte più efficaci e convincenti.
«E’ ora di pensare concretamente in termini di post-berlusconiano», scrive Vattimo: temo che si sbagli. Concretamente, per l’opposizione, il post-berlusconiano è ancora tutto da conquistare. Credere che esistano le scorciatoie di episodiche ed eterogenee alleanze, i miracoli di crolli provvidenziali, o il provvidenziale intervento di deus ex machina, non farà che rendere l’attesa ancora più lunga, e ancora più gravi i danni per il Paese.

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