Doveva essere il mercato a scegliere il management

giugno 16, 1998


Pubblicato In: Corriere Della Sera, Giornali


Da quando e’ stato quotato il titolo Telecom ha fatto peggio del mercato. Migliaia di piccoli azionisti guardano con preoccupazione il futuro del loro investimento. Preoccupato e’ il Governo, dice Maccanico, teme per la stabilità dell’azienda. Preoccupazioni pare esprima anche l’avvocato Agnelli nel dichiarare che Telecom ha bisogno di un amministratore delegato “molto capace”.

Le preoccupazioni di oggi riportano alla memoria le difficoltà di ieri, quelle incontrate nel formare il nucleo stabile: che risultò ridotto rispetto ai piani iniziali, nonostante personali interventi ad alto livello. Ci fu un momento in cui l’intera operazione parve a rischio: sarebbe probabilmente fallita se il gruppo IFI-IFIL alla fine non avesse dato la propria disponibilità.
Alla luce degli accadimenti di questi mesi, le ragioni di quelle difficoltà appaiono più evidenti.
Non si è voluto vendere separatamente Telecom e TIM, né che fosse il mercato a trovare gli assetti di vertice. Si è affidata l’azienda al nucleo stabile sulla base di una serie di presunzioni: il perfezionamento di un’alleanza strategica discutibile e frettolosamente conclusa; il mantenimento del perimetro aziendale; avvicendamenti non troppo bruschi nei piani alti del management.
Ma così chiedere continuità equivale a chiedere ai privati di gestire al posto e con i criteri del pubblico: affrontando en passant apertura alla concorrenza e riduzione delle tariffe, diventando un player mondiale, rendendo felici utenti e investitori e non scontentando i sindacati.

Rossignolo ha mostrato un decisionismo reattivo al limite dell’impulsività, qualche sua esuberanza verbale ha prestato il fianco a ironie. Sul piano dell’immagine, una prestazione non brillante. Ma veniamo alla sostanza: il piano Socrate era l’estremo tentativo di evitare la privatizzazione. Il DECT era un siluro contro TIM, almeno così diceva Gamberale in tempi non sospetti. AT&T, cui gli analisti rimproverano da anni di non aver trovato una propria strategia, non sembrava proprio il faro a cui orientarsi. A questi tre passi indietro si è aggiunta una turbolenza sul tema del management. Ma è evidente che l’intera prima linea andava sostituita: un’azienda privata che dovrà operare sul mercato non può essere gestita da personale selezionato coi criteri delle partecipazioni statali, cresciuto nel monopolio, abituato a comandare su un ministero.
Questi tre passi indietro e questa turbolenza legittimano le preoccupazioni del Governo? No, se si guarda all’azienda, sì se il problema è più generale. Quanto all’azienda, si tranquillizzi Maccanico: non è successo nulla che ne minacci la stabilità. Decenni di monopolio hanno fatto di Telecom una corazzata difficile da attaccare, nelle reti urbane poi letteralmente inaffondabile. Si poteva evitare qualche scossone? Certo, bastava fare come in Agensud, rinviare finchè tutti i consiglieri non siano stati risistemati sulle loro poltrone.
La raccomandazione dell’avvocato Agnelli e’ prudente e politicamente opportuna. Ma per individuare la persona adatta ed evitare di bruciarla è necessaria un’operazione preliminare: liberare il campo dalle presunzioni con cui Telecom è stata venduta, e dall’ambiguità in cui ora si trova. Bisogna chiarire che questa è un’azienda privata, che l’aumentata partecipazione del Tesoro è un accidente che va sterilizzato subito e corretto al più presto, che l’unico obbiettivo aziendale è creare valore per gli azionisti.
Gli anni di monopolio che assicurano la stabilità dell’azienda hanno anche depositato ampie sacche di inefficienza: sono altrettante riserve, c’è da guadagnare di più ad eliminarle che a giocare il gioco delle acquisizioni spettacolari.
Le iniziative internazionali sono solo una componente della strategia. Sono da valutare con calma, per il loro merito intrinseco, non nell’ansia di sostituire un accordo non andato a buon fine. Gli azionisti vogliono utili, non la soddisfazione di ambizioni nazionali o l’effimera gloria dei titoli dei giornali.
La preoccupazione che è invece legittimo esprimere è di ordine politico: a rischio non è Telecom, ma la prosecuzione di quel cammino che, con contraddizioni e ritardi, è stato iniziato sin dal Governo Amato, riconsegnare all’iniziativa privata ciò che non ha senso resti pubblico.
Per scongiurare questa preoccupazione, Governo e imprese facciano ciascuno il suo mestiere, senza spazi per abboccamenti e mediazioni il cui esito sarebbe lasciare Telecom oggi, ENI ed ENEL domani, in una zona grigia che non serve a nessuno.

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