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Diversificare è la parola d’ordine

Pubblicato il 03/02/2014 @ 16:58 in Articoli Correlati


di Gianfilippo Cuneo

Se si chiedesse, in astratto, quale è il dovere di una fondazione la risposta sarebbe semplice: preservare il patrimonio e generare i più elevati ritorni possibili (tenendo conto dei rischi) in modo da poter massimizzare le attività di erogazione, che sono la ragion d’essere delle fondazioni stesse. Le fondazioni grandi o piccole di tutto il mondo, come quella di Bill Gates o quella della famiglia Ford, non hanno mai pensato che il loro compito fosse di restare attaccati alle proprie origini mantenendo il portafoglio concentrato su titoli Microsoft o Ford; hanno sempre cercato di diversificare gli asset e produrre ogni anno un surplus di rendimento in grado di mantenere il valore reale del portafoglio evitando l’impatto negativo dell’inflazione, e contemporaneamente di generare ritorni per finanziare le attività filantropiche o istituzionali.

Il risultato di tali politiche è che ancora oggi ci sono in giro decine di fondazioni importanti, antiche e che sono sopravvissute con successo anche alla grande crisi del ’29: Rockefeller, Kellogg, Lilly, Wallenberg ecc. L’esempio più interessante per confrontare le performance delle fondazioni bancarie italiane è quello delle grandi università americane (Harvard, Stanford, Yale); investendo in una varietà di strumenti finanziari, quotati e non, e su base internazionale, tali fondazioni sono riuscite su periodi di 5-10 anni a ottenere rendimenti netti fra il 6% e il 10% anche tenendo conto delle perdite quasi inevitabili di anni disastrosi come il 2009 e 2010. Anche nell’ultimo anno contabilizzato (che termina al 30 giugno 2012) gli endowments americani hanno ottenuto un rendimento medio del 19%; invece il patrimonio delle fondazioni bancarie italiane nel 2011 è stato svalutato del 14%. Se le fondazioni italiane avessero investito tutto il loro patrimonio dall’inizio degli anni 2000 in un indice delle Borse mondiali (per esempio l’Msci che è cresciuto mediamente dell’8%), oggi avrebbero un «vero» patrimonio di oltre 70 miliardi di euro invece che (forse) di 43 miliardi; e con rendimenti annuali simili a quelli delle fondazioni universitarie americane potrebbero tranquillamente erogare 4 volte di più di quello che sono state capaci di fare. Se c’è un vero colpevole in giro è chi non sa far rendere il patrimonio; se poi non sa nemmeno evitare dissennate acquisizioni la follia si aggiunge all’incompetenza.

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