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Dini non ha imbracciato le liberalizzazioni

Pubblicato il 01/07/1995 @ 11:14 in Giornali,La Stampa


Ha ragione Mario Deaglio: “Una gran parte del paese le privatizzazioni proprio non le vuole». Non si spiegherebbe altrimenti perché la legge che istituisce le Autorità di settore (condizione che le legge impone per poter procedere) passata dal Senato alla Camera, ivi pesantemente modificata, avanzi a fatica tra emendamenti e sospensioni. Ormai è evidente che le date previste dal governo per l’inizio della privatizzazione di Stet ed Enel non potranno essere mantenute. «Privatizzazioni ultima disfatta»: se ne lamenta il ministro Masera, durante il dibattito sul documento di programmazione economico finananziaria per il prossimo triennio.

Se, come scrive Deaglio, il problema è «non aver date un profilo alto» alla politica di privatizzazioni, di chi la responsabilità? Il governo fa la vittima. Non si intende certo difendere lungaggini e contraddizioni di un parlamento in cui allignano, dall’una e dall’altra parte, perduranti ostilità al privato. Ma la realtà è che il governo paga il prezzo di aver fatto la scelta di non mettersi alla testa di un grande progetto di liberalizzazione. È vero che in un paese come il nostro tutti hanno la loro nicchia da proteggere: ma è anche vero che esisteva un largo consenso su progetti di liberalizzazione e che il governo aveva la possibilità di coagularlo: Forza Italia non può contraddire il suo manifesto politico: la maggioranza che sostiene il governo ha prodotto documenti di impostazione liberalizzatrice su cui non è possibile e-quivocare: la mozione Salvi del 26 marzo, e, in modo ancora più dettagliato, la risoluzione del Pds (con Popolari di Bianco e Lega) approvata martedì scorso in Senato. Ovvio che il passare dalle affermazioni generali alla dettagliata stesura degli articoli di legge offra molte insidie: ma, rischio per rischio, non valeva la pena correre quello di farsi portatori di un progetto di ampio respiro liberista? Quali sono le ragioni di una divaricazione così clamorosa tra azioni del governo e indicazioni della maggioranza?
È istruttivo ripercorrere le tappe del processo. Il progetto Cavazzuti (Pds) sulle Autorità era stato approvato in Senato col parere favorevole del governo Berlusconi: Autorità snelle, nominate dal governo e convalidate dal parlamento, quindi sottratte alla lottizzazione, con forti poteri rispetto ai ministeri. Nel frattempo il ministro Gnutti aveva fatto passare un progetto di privatizzazione dell’Enel che prevedeva la separazione delle attività di generazione, trasporto e distribuzione. Il governo Dini fece subito capire che era di diversa opinione: fin dalla nomina del ministro Ciò, notoria mente accanito fautore del mantenimento di un’Enel monolitica e indivisa. Clò richiese un riesame della legge sulle Autorità, riducendone i poteri. Il ministro delle Poste, Gambino, se ne uscì affermandone addirittura l’inutilità: bastava il potere del ministero. Sul fronte degli assetti dei settori elettrico e delle telecomunicazioni, dal governo non veniva nes-suna indicazione precisa (né è venuta a oggi). Per l’Enel, Clò non perdeva occasione di ribadire le sue idee; per Stet, Gambino annunciava di voler emanare il regolamento della legge che avrebbe sanzionato il diritto di Telecom di cablare le città, riservando ai privati solo quanto non fosse stato di interesse del concessionario unico, cioè, come si è fatto notare, la Barbagia e l’Aspromonte. Negli ultimi giorni Masera si è dimostrato più possibilista sull’Enel; Gambino sembra aver fatto marcia indietro rispetto a quella che avevo chiamato «un’autentica rapina»: ma Pascale polemizza con il progetto di legge Debenedetti il giorno stesso in cui la maggioranza approva la risoluzione che lo recepisce.
Non sono piccole questioni: ormai si deve prendere atto che il governo Dini anziché far proprio un progetto di ampia liberalizzazione dei servizi di pubblica utilità e di ridimensionamento del potere dei ministeri, ha preferito lasciare le cose come stanno, rafforzando, anche con il continuo insistere sulla necessità di fare in fretta, la sostanziale sovrapposizione di poteri ministeriali e di monopoli pubblici. Ne hanno naturalmente approfittato le rispettive lobby, trovando fertile terreno tra le forze che si oppongono alle privatizzazioni: alcune compatte (An e Rifondazione), altre sparse tra varie formazioni politiche.
Quello che sembrerebbe il più tecnico dei problemi, sta incagliandosi per motivi squisitamente politici. Di enorme portata politica è infatti la partita che si gioca: primo, perché privatizzare Enel e Stet (senza dimenticare le banche) equivale a ridisegnare la mappa del potere economico in Italia; secondo perché istituire le Autorità equivale a ridefinire il potere dei ministeri su rilascio di concessioni, tariffe, profitti delle società che forniscono servizi di pubblica utilità.
Così, oltre ad aver perso una grande occasione, dobbiamo constatare il venir meno, nella migliore delle ipotesi, degli impegni sulle scadenze di privatizzazione. Tutto questo induce a una considerazione severa su quello che ormai si può giudicare l’operato complessivo del governo Dini in questo campo, in cui ha giocato non tanto la natura tecnica del governo, quanto le precise scelte che ha fatto.

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