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Dini: nomine in tempi sbagliati

Pubblicato il 06/03/1996 @ 17:03 in Giornali,Il Sole 24 Ore


Una nomina effettuata, quella di Gianni Merlini a presidente della Compagnia di S. Paolo; una riconferma annunciata, quella di Bernabé all’Eni: ed è subito polemica. Che va letta innanzitutto con riferimento al quadro istituzionale in cui tali nomine avvengono.
Il presidente della Repubblica ha deciso di lasciare il governo Dini nella pienezza dei suoi poteri, così come aveva fatto per il governo Ciampi.

Ciò pochi giorni prima che Lamberto Dini, a differenza di Carlo Azeglio Ciampi, decidesse di presentarsi al giudizio degli elettori alla testa di una lista che porta il suo nome, esercitando in ciò un suo diritto. Gli atti di un governo a Camere sciolte non sono soggetti solo a valutazioni di legittimità, ma a giudizi di opportunità. Analogamente, giudizi di opportunità devono essere stati presenti al presidente della Repubblica: da un lato avere un governo che si presentasse ai prossimi appuntamenti internazionali nella pienezza dei suoi poteri, dall’altro la condizione del capo di un governo che mantiene per continuità la sua caratteristica tecnica, ma che decide di capeggiare una sua formazione politica. Gli atti del presidente della Repubblica costituzionalmente non sono sindacabili: le valutazioni sui fatti che ne conseguono si fanno dunque sul piano dell’opinabilità e non su quello del diritto positivo. È perché si collocano in questo quadro che la vicenda delle nomine dà luogo a polemiche: che finiscono per gettare un’ombra an-che su decisioni di per sé ineccepibili o vantaggiose.
È il caso della Compagnia di S. Paolo. La scelta della persona non poteva essere migliore: un imprenditore privato, a capo di una prestigiosa casa editrice – coi bilanci in attivo! – protagonista della cultura torinese e italiana, uomo di cultura egli stesso, non legato a partiti. Meglio lasciare in prorogatio la presidenza di chi controlla la maggiore banca italiana, oppure decidere a parlamento sciolto, riducendo lo spazio alla discussione politica?
È il caso dell’Eni. Quando si è trattato di vendere la prima tranche della compagnia petrolifera, nei road show pre-paratori si sono giustamente enfatizzati i meriti di chi l’ha risanata, liberandola dagli scandali in cui era caduta, affrancandola dalla tutela partitica. Gli investitori hanno avuto fiducia, e hanno acquistato. Meglio dimostrare, anche in vista delle future privatizzazioni, che l’Italia garantisce la continuità degli impegni presi, rassicurare gli investitori che le scelte dell’azionista di maggioranza non sono soggette a mutare con il mutare dell’esecutivo, oppure prendere decisioni così impegnative a tre settimane dal voto? Pietro Armani nella sua intervista al Corriere di ieri non ha pudori a fare in-tendere che le scelte del Polo cadrebbero su altre persone, indipendentemente dai meriti. Siffatti propositi segnalano un ritorno a criteri di obbedienza partitica, rappresentano un male certamente maggiore delle decisioni di cui si parla: su cui si può discutere in tema di opportunità politica, non certo di merito.
Questioni discutibili, si diceva, ma non certo situazioni inevitabili. La presidenza della Compagnia di S. Paolo è in prorogatio da mesi: perché non vi si è provveduto prima. quando la discussione avrebbe avuto l’ambito naturale in cui svolgersi? Quanto all’Eni, chi scrive già aveva richiesto che la vendita del primo 15 per cento fosse accompagnata da impegni precisi assunti dal governo, quanto a continuità del gruppo dirigente, tempi delle successive dismissioni, com-portamento dell’azionista di maggioranza assoluta o relativa fino alla totale dismissione, e aveva indicato nella man-canza di tale assunzione di impegni la causa di una sottovalutazione del bene. Perché non lo si è fatto allora, evitando-ci le presenti discussioni?
È questo ritardo a gettare una luce obliqua su tali nomine, sulle avvenute e sulle probabili. Stante le persone su cui è caduta o potrebbe cadere la scelta, il sospetto che questi atti siano guidati da un disegno di ripartizione di potere – che ha indotto alcuni commentatori a ripercorrere sotto questa luce l’intera storia delle nomine effettuate dal governo Dini -appare assolutamente infondato: certo esso trova in questo ritardo, e nella decisione di candidarsi assunta in un secon-do momento rispetto alla riconferma del governo, materia sufficiente per alimentarsi.
Ciò che si è fatto per il S. Paolo, ciò che probabilmente si farà per l’Enfi, è nell’interesse del paese. Non lo è aver vo-luto farlo con siffatta scelta di tempi: e questa considerazione attenua largamente la prima.

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