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Debito pubblico e speculazione: i tranelli contro il salvataggio dell’ euro

Pubblicato il 14/05/2010 @ 10:49 in Articoli Correlati


di Massimo Mucchetti

Il piano salva debiti dell’ Eurozona, che consoliderà gli interventi immediati delle banche centrali e della Bce, sarà probabilmente gestito da un nuovo veicolo speciale finanziato dagli Stati, che garantiranno le sue obbligazioni fino a 440 miliardi e che già oggi alimentano la Commissione Ue e il Fondo monetario internazionale impegnati per gli altri 310 miliardi. Si tratta di una gigantesca operazione in larga parte fuori bilancio per scoraggiare la speculazione contro l’ euro, a partire dai suoi anelli deboli. Stiamo assistendo alla copertura di debito pubblico cattivo a mezzo di debito pubblico migliore. Funzionerà?

La risposta è: potrebbe, a patto che si evitino tre tranelli. Il primo è l’ azzardo morale degli Stati. La storia delle banche d’ investimento è istruttiva. Salvate dai governi con i soldi dei contribuenti, le banche d’ investimento hanno ripreso a speculare come e più di prima. Basti guardare al value at risk della Goldmans Sachs, che misura la perdita potenziale massima di una giornata, salito nel 2009 oltre i livelli pre Lehman. I guadagni che ne sono derivati non segnano il superamento della crisi, ma preparano la prossima. Le riforme, promesse dai governi e dalle banche centrali, per consentire il fallimento ordinato di una o più grandi banche insolventi restano al palo. Si parla, si parla, ma campa cavallo. Le banche troppo grandi per fallire sono ancora più grandi. Perché gli Stati dovrebbero evitare la tentazione se lo schema di gioco è il medesimo e il risanamento incontra difficoltà politiche molto serie? Qui si apre il secondo tranello: la gestione ragionieristica del soccorso. Come ogni debitore di pessima reputazione, la Grecia dovrà pagare interessi non lievi e rispettare una severa tabella di rientro. Ma la ricchezza finanziaria delle famiglie elleniche è modesta. Sul Messaggero, Marco Fortis ha calcolato che il debito pubblico di Atene è pari al 220% della ricchezza finanziaria, mentre quello italiano sta sul 68%. Anche volendo, non ci sarebbe spazio per un’ imposta patrimoniale risolutiva. Il graduale rientro non potrà che avvenire attraverso ulteriori privatizzazioni (poco) e il taglio della spesa pubblica (molto). Bisognerà tuttavia fare attenzione a che la stretta non soffochi la non probabilissima ripresa, il che renderebbe ancor più arduo il rimborso e costringerebbe Atene a ristrutturare il debito in danno dei creditori incauti. I tagli della spesa pubblica in Grecia sono necessari: non si può vivere al di sopra delle proprie possibilità. Ma i tagli mettono in crisi un contratto sociale fondato sul lavoro dipendente che va in pensione presto e paga un po’ di imposte e sul settore privato che lavora duro ed evade il fisco. Andava corretto da un movimento riformista equo e graduale. Il governo Papandreu deve invece procedere a tappe forzate, spinto da un’ entità sovranazionale, l’ Europa, che, essendosi rivelata cieca di fronte alle bugie greche, reagisce affannosamente alle pressioni speculative. Ora, proprio il contrasto alla speculazione, se puramente declamatorio, rappresenta il terzo tranello. Che la speculazione contro l’ euro abbia innescato la crisi dei debiti pubblici più deboli è un fatto. La Grecia era la Grecia anche un anno fa, eppure gli hedge fund e i fondi sovrani asiatici, interessati gli uni a rapidi guadagni e gli altri a difendere i propri investimenti in dollari, si sono mossi soltanto adesso. Che la speculazione abbia sempre meno connessioni con la sua originaria, e benefica, funzione di correttivo dei prezzi di mercato, è un altro dato di fatto che, come dimostra il caso Moody’ s, si accompagna a forme di sostanziale aggiotaggio. Identificarla con il mercato tout court per poter dire che il governo italiano tradisce l’ originaria promessa liberale è una forzatura polemica non meno evidente di quella che equipara ogni limite alla speculazione a un attentato contro l’ economia di mercato. Il problema è come ricondurre la speculazione nei binari accettabili in una democrazia: se ci si limita a usare i soldi dei contribuenti per contrastarne gli effetti, giocando di onerosa rimessa, o se si interviene anche sui soggetti e sui comportamenti, giocando all’ attacco. È opinione diffusa che, senza toccare l’ origine, altre Grecie verranno. La speculazione è tanto più forte e arbitraria quanto più viene alimentata da soggetti opachi che, fuori da ogni controllo, possano impiegare i soldi degli altri, liberi da vincoli. E’ quanto accade nei mercati dove, accanto a soggetti regolati come banche, assicurazioni, fondi pensione e di investimento, operano soggetti non regolati come gli hedge fund e i fondi sovrani, i quali sono a loro volta finanziati dai soggetti regolati con smodata abbondanza e scarsa trasparenza. A differenza di quanto avviene nei tribunali e sui campi sportivi, il giudizio dei mercati finanziari non ha volto né luogo né legge né responsabilità. I licenziamenti di massa, le controriforme del welfare, il congelamento o addirittura il taglio delle buste paga, le sofferenze delle imprese, magari un’ imposta patrimoniale sono le condanne che la speculazione infligge alle persone in carne e ossa senza dover rendere conto a nessuno tranne che ai propri, occulti finanziatori. E salvo far proteggere dagli Stati il settore finanziario quando gli errori siano troppo diffusi. È in questo terzo tranello che l’ Europa sta scivolando: riesce a trovare una somma enorme per salvare i Tesori nazionali e i loro creditori, ma da oltre un anno lascia al palo la direttiva Ue sugli investitori alternativi, quasi un insabbiamento. Perfetta, dunque, l’ invocazione di una Tobin Tax sulle plusvalenze mordi e fuggi fatta sul Corriere da Alberto Quadrio Curzio. Ma bisogna anche incidere sul funzionamento della speculazione. Per esempio, pretendendo che gli hedge fund diano pubblico conto dei loro azionisti e finanziatori, che tengano siti online dove siano resi visibili patti, statuti e bilanci. È troppo chiedere che i soggetti regolati (perché usano i soldi degli altri) possano finanziare questi soggetti speculativi solo a patto che impegnino quote di patrimonio proporzionali alla leva che questi stessi soggetti speculativi usano e ne diano conto a loro volta al mercato? E’ sbagliato pretendere che chi specula depositi prima la posta? O esigere che la libertà di manovra dei fondi sovrani sia subordinata all’ osservanza di obblighi minimi di trasparenza? L’ opacità di certi operatori, avvertono i magistrati, può servire a riciclare il denaro caldo delle mafie e dell’ evasione fiscale, ma anche – e sarebbe una beffa già vista – a usare i soldi delle banche centrali contro le «loro» monete. Un tal giro di vite comporterebbe, alla fine, meno finanza? Se fosse, sarebbe forse un dramma? E per chi?

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