Debenedetti: articolo 18 e burocrazia statale se non vince queste sfide, Matteo non pedalerà

febbraio 15, 2014


Pubblicato In: Varie


Intervista di Antonio Vastarelli.

L’ex senatore del Pd: il potere di nomina e lo spoil system per innovare subito l’apparato.

«Reni è come un ciclista: deve pedalare per non cadere. Per questo deve espugnare i fortini del potere che ostacolano la sua corsa e bloccano il Paese: la dirigenza pubblica e il sindacato». L’ex senatore dei Ds Franco Debenedetti valuta positivamente l’irrompere del sindaco di Firenze sulla scena nazionale ma sospende il giudizio su un suo possibile governo: «Aspetto di vedere dice chi metterà nei ministeri principali e anchese avrà il coraggio di abolire l’articolo 18».

Debenedetti, cosa ha sbagliato Letta?
«Penso all’ultimo periodo: Renzi lo incalzava chiedendogli di far qualcosa. Sul tavolo c’era, ad esempio, il Jobs Act, un nome su una scatola vuota. Letta nella sua maggioranza aveva Pietro Ichino, che gli bastava aprire un cassetto e gliela riempiva di contenuti: con quelli Letta poteva sfidare Renzi e il Pd: prendere o lasciare. Invece, non ha reagito».

Come se lo spiega?
«Se uno si identifica con l’obiettivo di essere garanzia di stabilità, diventa difficile mettersi in gioco su una scommessa. Ragioni di coerenza, forse anche psicologiche».

Non era nella natura di quel governo?
«Esattamente. Ma forse neanche nella natura della persona».
E pensa che Napolitano, che chiede sia la stabilità che le riforme, preferiva Letta che garantiva la prima o Renzi che insegue la seconda?
«Centrodestra e centrosinistra chiedono a Napolitano di accettare un secondo mandato, con il patto di sostenere un governo che faccia le riforme, elettorale e costituzionali. E lui conferisce il mandato a Letta. Poi capitano eventi imprevisti, la sentenza della Corte, l’uscita di Berlusconi dalla maggioranza: e Letta tampona. Ma se il principale partito della maggioranza decide di cambiare, Napolitano non può che prenderne atto, e fare quello che la prassi prevede».

Con la stessa maggioranza: cosa rende diversi Letta e Renzi?
«E allora? Un’azienda deve forse cambiare azionisti, sostituire tutto il management, per darsi una strategia diversa? Hanno strategie e tattiche diverse: per Letta garantire la stabilità, per Renzi il movimento. Per le riforme Letta aveva commissioni ed esperti, Renzi in pochi giorni ha concluso un accordo sulle legge elettorale che teneva imballato il sistema da quasi tre governi. Ed è stato il suo momento di massima popolarità. Quando si è visto che in Parlamento il processo poteva arenarsi tra gli emendamenti, i sondaggi hanno rilevato un piccolo ma marcato calo di consensi…»

Quindi, Renzi in Parlamento potrebbe arenarsi?
«Si figuri quando si tratterà di votare l’abolizione del Senato! Ma il peggio è la burocrazia statale, il monopolio giuridico ostile alla cultura gestionale e naturaliter colluso con il potere sindacale. Spostare uscieri da un ministero all’altro, o cambiarne le mansioni possono essere compiti impossibili. Questa è una delle cartine di tornasole sulle quali giudicare Renzi».

Quali sono le altre?
«I ministri chiave ma anche i direttori generali. Come si avvarrà Renzi dello spoil system? Più in generale, come userà il potere di nomina? Dopo che abbiamo letto su come vengono assegnati (e cumulati) gli incarichi, adotterà la pratica di concorsi aperti? Cartina privatizzazioni: confermerà quelle finte di Letta e Saccomanni, incominciando da quell’aborto di Poste e Enav? Eliminerà la Tobin fax? E poi naturalmente l’articolo 18».

E davvero così importante per il rilancio dell’economia?
«L’articolo 18 ormai protegge solo una minoranza di insider. Ma è il simbolo del potere di veto del sindacato, che non è solo quello dei metalmeccanici, ma anche del pubblico impiego. Penso che Cottarelli verrà confermato per la spending review: ricorda, parlava di difficoltà politiche di fronte alle quali lui non ha poteri».

Come giudica l’effetto Renzi sui democratici?
.«Considero positivamente il suo irrompere nella sinistra, nelle strutture, nelle gerarchie, nel retaggio ideologico. Veniamo da due decenni di antiberlusconismo con l’elmetto, di proclamate superiorità morali, di differenze antropologiche. Constatato realisticamente che era necessario farlo per le riforme, Renzi con grande semplicità ha invitato Berlusconi nel suo ufficio. E di antiberlusconismo non si parlerà più. Verrà ancora invocato nella polemica interna, usato per tenere insieme pezzi di alleanze: ma come arma ideologica non è più utilizzabile. Meno male, ha già fatto abbastanza male alla sinistra».

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