Debenedetti: «Un si senza pentimenti. Più liberi quando si deciderà sull’Iraq»

ottobre 4, 2002


Pubblicato In: Varie


Intervista di Simone Collini

Senatore Franco Debenedet­ti, lei ha votato la mozione presentata dalla Margherita, in dissenso dal gruppo Ds, per­ché?
«L’ho fatto per ragioni di continuità e di discontinuità: continuità con la collocazione internazionale del nostro paese, compresa la no­stra adesione all’alleanza contro il terrorismo e il voto di un anno fa; e considera­zione delle di­scontinuità veri­ficatesi da allo­ra».

Non la se­guo, chi so­stiene che la situazio­ne sia cam­biata ha votato contro l’invio degli alpini in Afghanistan.
«Io non mi nascondo certo che oggi è aperta la questione irachena. Io voglio che la sinistra possa entrare in quel dibattito, e che sia in condi­zione di far valere tutto il suo peso.
Invece votando contro l’invio degli alpini in Afghanistan, il nostro voto domani sull’Iraq diventa un voto ide­ologico. Non voglio sprecare oggi le nostre carte, voglio che i Ds e l’Ulivo entrino nel gioco con tutte le carte in mano. Quel giorno io voglio poter discutere e convincere, e lo posso fa­re solo che è chiaro che sto dalla stes­sa parte. Il ruolo di un partito come il nostro non è di andare in curva Sud, a fianco di Gino Strada, e dispie­gare gli striscioni e urlare che Bush è come. Saddam. Il nostro partito do­vrà poter giocare, se potrà e se vorrà, la sua partita, mettendo in campo la autorevolezza di una opposizione di governo, di una sinistra di governo».

Perché ha deciso di prendere la parola in aula e rendere pubblico il suo dissenso?
«Le questioni che riguardano la guerra e la pace, le questioni che defi­niscono la collocazione internaziona­le del nostro paese, definiscono an­che l’identità di una forza politica: su questi temi non ci può essere ambi­guità. Una questione di coscienza, se vuole, ma di coscienza di partito, non individuale: dunque una decisio­ne squisitamente politica. Con la de­cisione sul Kosovo la sinistra dimo­strava di avere abbandonato la cultu­ra minoritaria e di sapersi assumere le-responsabilità di governo. Io non mi sento di dare un voto che dilapida quel patrimonio, perché quello è an­che il fondamento del mio impegno politico».

Fassino, per spiegare le ragio­ni del no dei Ds, ha detto che sono le modalità con cui il governo ha proposto l’impiego di militari italiani in Afghanistan a non essere accettabile.
«Di ragioni per votare no ne ho sentite tante, sempre un po’ diverse; è anche questa la spia di un imbaraz­zo: che ha prodotto una risoluzione ambigua. Invece noi abbiamo bisogno di mandare al paese un messag­gio chiaro: da che parte stiamo in politica estera. Anche perché nelle manifestazioni pubbliche della sini­stra, nei modi della sua presenza nel paese ci sono state discontinuità rispetto all’anno scorso: oggi, molto più di ieri, è inevitabile che la pregiudiziale pacifista venga vista dall’opinione pubblica come l’antiamericani­smo viscerale della sinistra massimalista. Anche per questo, oggi la sinistra di governo deve assumere posizioni nette».

Secondo lei sarebbe stato meglio se nella mozione dei Ds non ci fossero stati i distinguo tra Isaf ed Enduring Freedom?
«È un distinguo non sostenibile sul piano logico e non spiegabile su quello della comunicazione. Come un anno fa, avremmo dovuto votare un dispositivo sostanzialmente identico a quello del governo, facendolo precedere da considerazioni nostre, e senza pregiudiziali sull’Iraq. Martino ci era venuto incontro con un discor­so strettamente limitato all’Afghani­stan».

Un discorso, il suo, squisita­mente politico?
«Per quello che riguarda l’Iraq, sì. Ed è un discorso limpido per quel­lo che riguarda la nostra collocazio­ne internazionale».

Come giudica quanto avvenu­to all’interno dell’Ulivo in que­sti giorni?
«Inutile negarlo: quello a cui ha dato luogo la richiesta di Rifondazione di votare su questo tema è stato un autentico dramma, il punto più basso finora raggiunto dalla coalizione. La sola speranza è che la visione dell’abisso produca una reazione po­sitiva».

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