Debenedetti: «Italvolt? Non si fa l’interesse del Piemonte a chiamare progetti quelle che ad ogni evidenza sono bufale»

gennaio 26, 2023


Pubblicato In: Giornali


Intervista di Christian Benna a franco Debenedetti

Franco Debenedetti: «Badiamo piuttosto alle eccellenze piemontesi»

«Si può anche sognare ma è pericoloso vivere fuori dalla realtà. L’Olivetti ha lasciato in eredità nel nostro territorio rilevanti risorse di capitale umano e un’immagine che poche altre imprese al mondo possono vantare. Ma quale vantaggio strategico possono apportare a chi vuole fare batterie di nuova generazione?». Franco Debenedetti, già vice presidente e poi ad di Olivetti negli anni d’oro dell’Olivetti, ha compiuto 90 anni il 7 gennaio. «Il regalo più bello — racconta l’imprenditore, politico e saggista torinese — mi è stato fatto dall’Istituto Bruno Leoni, di cui sono presidente, con un libro che raccoglie saggi sull’attività che ho svolto dopo quella imprenditoriale, da politico e da editorialista soprattutto in temi di economia».

Franco Debenedetti, perché dice che la Gigafactory è un sogno?
«Di che cosa stiamo parlando? Cosa possiamo offrire a chi vuole creare una Gigafactory per automotive, oltre al fatto che a Scarmagno c’è un bello stabilimento vuoto da tempo?».

Torino rimpiange le occasioni perdute: ad esempio il primo Pc della storia, il Programma 101.
«Il successo Olivetti si basa soprattutto sulla Divisumma, la calcolatrice scrivente che faceva le 4 operazioni. Costruita a partire dal 1948. Aveva un primo costo variabile di 2o mila Lire e si vendeva al prezzo di un’utilitaria. Per la Programma 101 non è esatto chiamarla “primo PC della storia”. Era una calcolatrice programmabile. Ma bisognava scrivere i programmi specifici: per le vendite al dettaglio, per le agenzie di viaggi, per uffici tecnici, per la contabilità aziendale. E questi programmi non poteva farli l’Olivetti, ci andavano software house che, a contatto con il mercato, li facessero su misura. E per pagarne il costo, ci andava un mercato grande: quindi l’America. Olivetti mandò Elserino Piol, il maggiore esperto che aveva sia di America sia di software. Ebbe successo ma non sfondò, anche perché nel frattempo uscivano i veri PC: chi ricorda il Commodore? E poi naturalmente Apple. Successivamente anche Olivetti fece dei veri PC: e furono anche un successo, tant’è che la AT&T volle comprarli per venderli sulla sua rete commerciale. Olivetti volle entrare anche nel mercato dei grandi elaboratori elettronici, e produsse l’Elea. Nel limitato mercato italiano ebbe alcuni significativi successi. Ma ci sarà una ragione se nessuno in Europa riuscì nel compito: e parliamo di aziende come l’inglese ICS, la Philip, la Siemens, la francese Bull. IBM vinse su tutti perché la Difesa americana ne ordinava quantitativi per noi inimmaginabili».

La Olivetti guidata da De Benedetti sbarca nella telefonia mobile. Anche quello è un sogno da non rimpiangere?

«Mio fratello Carlo ha avuto l’intuizione di puntare sulla telefonia mobile. Le alleanze iniziali le aveva fatte, come al solito, Elserino Piol, mio fratello ne vide l’opportunità. L’Olivetti fu la prima rete mobile privata, ruppe il monopolio TIM. Che poi fu privatizzata: la storia della scalata a Telecom e della fusione con Olivetti è nota. È ancora oggi un problema aperto».

Tra i tanti primati non sfruttati mancherà la Gigafactory? Il progetto Italvolt rischia di non partire.

«Ma che c’entra? di che progetto stiamo parlando? Non si fa l’interesse del Piemonte a chiamare progetti quelle che ad ogni evidenza sono bufale. Badiamo piuttosto alle eccellenze piemontesi, per esempio nel campo dell’aerospazio. E tutte le aziende che sono sorte e che hanno consentito di compensare la chiusura di tante fabbriche dell’automotive».

Lei parla di un’eredità immateriale della stagione Olivetti. A cosa si riferisce?
«Alla cultura d’impresa e tecnologica che sono nella testa — e nella memoria —di chi ha lavorato in Olivetti. E all’immagine che il nome Olivetti ha ancora nel mondo. È su questo che faceva leva lo Interaction Design Institute di Ivrea, che avevo fondato nel 2000: nello specifico settore della progettazione dei modi di interagire con i computer ebbe risonanza mondiale. Purtroppo, per motivi che esulano da questo discorso, la sua corsa fu interrotta dopo soli 5 anni».

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