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Dall’Enel unitario una pluralità di aziende

Pubblicato il 25/09/1995 @ 17:03 in Giornali,Il Sole 24 Ore


La polemica estiva sui confronti tra Enel e sistema elettrico inglese si potrebbe liquidare osservando che trarre dagli andamenti dei prezzi argomentazioni a favore o a sfavore degli assetti dei settori, induce ad affermazioni non scientifiche (in senso popperiano) in quanto non confutabili: infatti paragonando un sistema pubblico e unitario con uno privato e pluralista, dal confronto dei numeri non si potrà mai desumere quanto sia dovuto alla differenza tra pubblico e privato e quanto a quella tra unitario e pluralista.

«Ma anche sui prezzi c’è poi da ridire». O, con più accademica citazione: «Scegliendo con cura gli anni e giostrando con i dati si può giungere alla conclusione che più interessa con prove apparentemente inconfutabili». Queste parole di Paul Krugman, di un economista cioè non particolarmente tenero verso il modello di privatizzazione inglese, paiono appropriate a confutare di argomenti e dati con cui il ministro C16 è sceso personalmente in difesa dell’Enel pubblico e unitario (Il Sole 24 Ore del 31 Agosto). Poiché gli uni e gli altri potrebbero essere utilizzati, contro il suo intendimento, da chi avversa la privatizzazione tout court, si ritiene opportuno offrire alcune precisazioni. Precisazioni particolarmente opportune in vista del prossimo passaggio in aula della legge istitutiva delle Authority, dell’annuncio del ministro Masera di procedere alla vendita di una prima tranche dell’Enel, perfino alla luce di alcune polemiche suscitate dal progetto Supergemina.
Il ministro C16 istituisce paragoni tra i dati puntuali del 1985 e del 1995. La scelta, metodologicamente poco corretta, dà risultati fuorvianti. I prezzi del petrolio per l’Europa toccarono il massimo nel 1984 e crollarono a partire dal 1986, consentendo in quegli anni una riduzione dei prezzi dell’energia particolarmente sensibili nei paesi che più dipendono dalle importazioni di combustibile, Italia e Giappone, assai meno nei paesi che hanno un forte contributo di energia nucleare o che usano carbone nazionale. Ancora: i confronti internazionali sono difficili, opinabile essendo la scelta del tasso di cambio; inoltre le strutture tariffarie sono talmente diverse da paese a paese da poter dimostrare quasi tutto.
È più corretto riferirsi ai prezzi medi, rispettivamente per il settore domestico e per l’industria. I relativi dati sono tratti da una fonte ufficiale, (Ocse-Iea, Energy Prices and Taxes, 1994, 4th Q). I prezzi sono calcolati in ECU/MWh al valore del 1990, cioè un anno di ragionevole stabilità dei mercati valutai, applicando, per l’utenza industriale il deflattore del Pil, per quella domestica il deflattore dei prezzi al con sumo, tratto questo da Ocse Economic Outlook del Giugno 1995. I prezzi sono al netto delle tasse, che sono diverse nei vari paesi ed hanno subito variazioni nell’arco di tempo considerato.
Il quadro che emerge è completamente diverso da quello che ci prospetta il ministro Clò. Salta all’occhio l’elevato valore assoluto dei prezzi Giappone, dovuto a un’eccezionale qualità ambientale dell’energia prodotta (e anche questo sarebbe un parametro da prendere in considerazione, e che peggiorerebbe la nostra performance rispetto a Francia e Germania).
Negli anni Novanta i prezzi per l’industria sono ovunque leggermente calanti, salvo che per l’Italia, dove probabilmente ha influito una graduale modifica del mix di combustibili. Comunque tra il ’90 e il ’94 in Inghilterra si è avuta una sia pur modesta riduzione, in Italia un aumento da 66 a 72,2 Ecu/MWh.
Ma è nel settore domestico dove si hanno le differenze maggiori: in Italia le tariffe sono aumentate dal ’90 al ’94 di ben il 17 per cento in termini reali, dell’8,1 per cento nel solo 1993. Anche in Inghilterra c’è stato un aumento delle tariffe domestiche, quasi il 7 per cento tra 1’89 e il ’92. Ma qui non si può non mettere in conto la recente decisione dell’Offer (L’Autorità di settore) di ridurre i ricavi unitari dei distributori in termini reali di percentuali che variano (a seconda dei distributori) dal 21 al 30 per cento nei prossimi due anni e dal 27 al 34 per cento nell’arco dei 5 anni di validità delle regole del price-cap. È nella logica di questo meccanismo che i guadagni di efficienza si traducano in un primo momento in maggior guadagno delle imprese, e in un periodo successivo in vantaggi per i consumatori. Dato che la nostra legge sulle Authority recepisce il price-cap come meccanismo principe per le regolazione delle tariffe, vale la pena di incominciare ad abituarcisi.
Il confronto dei numeri serve a ristabilire chiarezza. Ma è per la convinzione che la concorrenza è l’insostituibile motore dell’efficienza, che si sostiene la superiorità di un sistema basato su una pluralità di imprese di generazione e di distribuzione (in questa fase si concentra circa il 60 per cento del totale costo per l’utenza domestica; e la enorme maggioranza dei dipendenti…), e su una rete unitaria trasmettitore ma non acquirente unico dell’energia in alta tensione: ragioni già più volte motivate in dettaglio, e recentemente ribadite dalle Autorità per la concorrenza comunitarie e italiane. Il ministro Clò ha nel frattempo fatto alcune aperture sul lato della produzione e anche, pare, su quello delle concessioni multiple e sull’evoluzione dal lato della distribuzione. Se non si farà un po’ di chiarezza, c’è da domandarsi che cosa offrirà ai risparmiatori il ministro Masera: azioni di un Enel unitaria che poi si dividerà nelle azioni di tre aziende? Di un Enel che venderà una parte delle centrali o della distribuzione? Di un Enel concessionario unico o titolare di tre concessioni?
Ulteriori ragioni in favore di un sistema dove operi una pluralità di aziende in concorrenza le ha offerte, non volontariamente si pensa, chi dalla vicenda Supergemina ha tratto motivo per paventare concentrazioni abnormi di potere finanziario e di attività economiche in poche mani. Anche chi come me di quelle polemiche non condivide alcune ragioni e molti accenti, non può non far notare che i rischi che anche l’Enel finisca in quelle temute mani sono ipotizzabili nel caso di un Enel unitario, inesistenti invece se nel settore opereranno una pluralità di società in concorrenza tra loro.
In un regime politicamente ed economicamente democratico, i cosiddetti ‘poteri forti’ si contrastano non con impraticabili divieti, ma favorendo la crescita di altri poteri, di altre competenze: nell’energia come nelle banche.

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