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Crisi Finanziaria, Debenedetti: ai mercati serve fiducia, ma a quale prezzo?

Pubblicato il 01/10/2008 @ 10:49 in Varie

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L’intervista

Dopo la bocciatura del rescue-plan da parte del Congresso Usa, ieri il presidente Bush ha rivolto un appello perché si agisca subito, garantendo che si arriverà ad una soluzione. I mercati prima sono crollati, poi ieri, dopo l’annuncio, hanno reagito in modo positivo. Difficile prevedere lo scenario. Per Franco Debendetti «ci sarà una grande concentrazione di banche, quindi minore concorrenza, e questo è già un male. In America si finirà con 3 o 4 megabanche universali. In Europa dipende molto dalla velocità con cui si farà pulizia nei bilanci. Se non lo si farà, si rischia un esito alla giapponese»


Senatore Debenedetti, la bocciatura da parte del Congresso del piano Paulson ha affossato le borse. In Europa, nel frattempo, è scattato un piano salva-banche. È stata la politica, questa volta, ad aprire una crisi nella crisi?

È indubbio che la politica ha giocato un ruolo nella vicenda. In primo luogo le elezioni americane imminenti. Esse hanno destato preoccupazione nei congressmen: da un lato l’esigenza di approvare un provvedimento presentato dal Governo come indispensabile, dall’altro la necessità di fare i conti con le urne tra poco più di un mese. È chiaro che presentarsi nei comizi elettorali davanti agli elettori avendo approvato un progetto fatto per liberare le banche dai titoli ad alto rischio, ma a carico del contribuente, certamente non paga in termini di consenso. Ma c’è di peggio.

Cioé?

Il salvataggio è stato ipotizzato con soldi pubblici, che poi diventeranno tasse per i contribuenti. Mentre sono modesti i provvedimenti a favore di coloro che, per la crisi dei mutui, perdono la casa. Ma soprattutto c’è la disparità di trattamento: uno stesso titolo, se è una banca ad averlo in portafoglio, il Governo glielo ricompera. Se è un cittadino qualunque se lo tiene. E se è il fondo pensioni di un’azienda industriale, se lo tiene pure lei. A questo si aggiunge la debolezza presidenziale: tutti i presidenti alla fine del mandato sono anatre zoppe. Bush lo ha evidenziato in modo particolare: si sono condensate su questo provvedimento tutte le critiche a lui e al suo governo. Non a caso è uno dei presidenti con il più basso tasso di popolarità.

Quanto al salvataggio, ieri Bush ha rivendicato la volontà di agire e ha spronato il Congresso. I mercati hanno reagito in modo positivo. Un piano, insomma, si farà.

Tranne che nell’economia del baratto, tutta l’economia moderna è basata sulla fiducia. Quando essa viene a mancare, tutto si blocca: il mercato non riesce più a svolgere la sua funzione, che è quella di fissare i prezzi. Il piano Paulson – al di là della sua debolezza economico-politica e quindi della sua bocciatura – consentiva di dare un prezzo agli immobili e ai mutui sugli immobili, che oggi non hanno nessun prezzo perché nessuno li vuole e nessuno li vuole perché nessuno si fida. La garanzia che quelle case hanno un valore pagato dallo Stato, avrebbe permesso nell’idea di Paulson di avere un floor sul quale ricostruire di nuovo la fiducia.

C’erano altre strade?

L’altra ipotesi era che lo Stato entrasse nelle società finanziarie sotto attacco con aumenti di capitale, a condizioni che avrebbero fortemente diluito e quindi penalizzato gli azionisti. Ma questa scelta avrebbe forse avuto un effetto meno immediato e deciso sull’economia.

La crisi finanziaria Usa ha avuto ripercussioni in Europa. Stati e banche centrali hanno salvato gli istituti in difficoltà: Belgio, Olanda e Lussemburgo hanno salvato Fortis, Citigroup ha acquisito Wachovia. Draghi, come presidente del Financial Stability Forum, ha detto che il sistema è solido e terrà.

La Bce sta intervenendo sui mercati pompando massicciamente liquidità – che naturalmente andrà resa – per consentire alle banche il normale funzionamento del sistema dei pagamenti, ma questo non ha niente a che vedere con il risanamento delle banche, che spetta ai governi. Esattamente come sono intervenuti Inghilterra e Belgio. Non avevano molte alternative.

Per quanto riguarda l’Italia, cosa si può temere? Per esempio, l’andamento in Borsa di un titolo come Unicredit, può nascondere una crisi latente, ma reale?

Bisognerebbe analizzare i loro bilanci. Dicono che le banche italiane non praticavano le attività di altre banche non solo americane, che i loro bilanci hanno meno prodotti “tossici” delle loro corrispondenti. Ma l’economia è fortemente connessa ed è illusorio credere di essere un’isola felice, del tutto riparata dallo tsunami mondiale.

Come si evolverà lo scenario?

Alcune cose si possono già vedere: ci sarà una grande concentrazione di banche, quindi minore concorrenza, e questo è già un male. In America si finirà con 3 o 4 megabanche universali. In Europa dipende molto dalla velocità con cui si farà pulizia nei bilanci. Se non lo si farà, si rischia un esito alla giapponese, che è durato 10 anni. La traslazione della crisi dalla finanza all’economia reale è inevitabile: il problema è in quanto tempo se ne esce, e quali saranno gli assetti di mercato e di concorrenza che ci saranno quando tutto sarà passato.

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