Core business, equazione irrisolta

settembre 12, 2006


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore

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Pubblico e privato. L’’Esecutivo deve fare chiarezza sulle licenze concesse fino al 2012 e ottenere risposte sul servizio universale

Il doppio scorporo, quello di TIM e quello della rete, varato dal consiglio di amministrazione di Telecom, propone interrogativi sotto tre profili: economico finanziario, industriale, dell’interesse pubblico. Le risposte sui primi due sono attese dagli azionisti di Telecom e dai mercati; sul terzo dovrebbero arrivare dal Governo e dalle Autorità, c’è da augurarsi con adeguata prontezza.

Sul destino di TIM si è discusso a lungo in passato; oggi a provocare imbarazzo è la totale inversione di rotta, rispetto a quanto lo stesso management aveva proposto e il medesimo consiglio di amministrazione di Telecom aveva approvato appena un anno e mezzo fa. Non risulta che in questo frattempo siano successe cose che non fossero già note quando fu presa la decisione di acquisire le residue (poco più del 40%) azioni di TIM sul mercato con un investimento di 14 miliardi di euro e con la ricapitalizzazione di Olimpia, per evitare la riduzione eccessiva della presa su Telecom. Allora il titolo valeva 3,2 euro, oggi vale 2,2.

A quali fatti nuovi è dovuta la decisione di procedere all’operazione inversa? Le riduzioni di costo e gli aumenti dei ricavi allora previsti si sono rivelati irrealistici? Oppure, dato che lo scorporo è finalizzato alla vendita, è la situazione finanziaria a essere vista in modo più critico rispetto a un anno e mezzo fa, quando l’aumento del debito di 14 miliardi di euro veniva giudicato sostenibile?

Se il cambiamento è di strategia, conseguente a una diversa visione del futuro del settore, e finalizzato a un riposizionamento dell’azienda dalle telecomunicazioni alla fornitura di contenuti, è l’equazione economica del futuro core business che dovrà essere spiegata. Da un lato ci sono i costi per l’acquisto dei contenuti e quelli per il finanziamento della costruzione della rete, dall’altro i ricavi da abbonamenti e pubblicità. Questa equazione è oggi fortemente squilibrata: a fronte di costi dell’ordine di diverse centinaia di milioni, i ricavi per Rosso Alice per vendita di film, musica, eventi sportivi, sono di una diecina di milioni di euro. C’è uno sfasamento temporale, evidente anche nella televisione mobile (il DvB-h), dato che i costi per l’acquisto dei programmi e la costruzione della rete sono parecchio anticipati rispetto ai ricavi.

Anche l’altro scorporo, quello della rete fissa, fa sorgere interrogativi, ma in tal caso è soprattutto dal Governo che dovranno venire le risposte. Innanzitutto: si tratta della sola rete fissa o anche di quella mobile (2G – 3G) di TIM e di quella in costruzione con Mediaset per la TV mobile (DvB-h)? Dalla risposta discendono diverse e perfin opposte strategie di politica industriale.

L’identità delle infrastrutture
Quando lo scorporo era ancora un’ipotesi, autorevoli membri del Governo avevano messo le mani avanti qualificando la rete fissa come una infrastruttura essenziale che doveva restare di controllo italiano; contemporaneamente studi di consulenti finanziari ne quantificavano il valore, adombrando interventi della Cassa Depositi e Prestiti e delle immancabili Fondazioni. Inevitabile leggere la coincidenza come tentativo di dare soluzione politica alle necessità finanziarie del Gruppo, con una sostanziale ripubblicizzazione della telefonia fissa. Adesso più che mai è necessario fare chiarezza sulla natura, fisica e giuridica, di ciò di cui si discute: le infrastrutture di rete fissa e mobile e le autorizzazioni ad esercirle.

Non inganni l’identità del nome: è un errore diffuso pensare che la rete telefonica sia simile a quella per il trasporto di energia elettrica o di gas, o addirittura ad autostrade e ferrovie. La rete telefonica è un’architettura Hw e Sw che consente a grandi calcolatori di convogliare il segnale da un utente ad un altro su mezzi di trasporto (satelliti, ponti radio, celle di radiomobile, fibre, cavi) fino all’utente finale tramite Adsl. E’ importante non rompere l’unità di business tra vendita di servizi, trasporto e fatturazione, un processo circolare che usa la conoscenza dei profili di utente per indirizzare gli investimenti. Per questo, in nessun Paese, gli azionisti dei grandi operatori di telecomunicazione integrati hanno deciso di separare le infrastrutture di rete dai servizi al fine di venderle successivamente. Il regolatore inglese ha recentemente giudicato più vantaggioso per il consumatore imporre all’ex monopolista BT solo una separazione organizzativa di tutte le attività relative all’ultimo miglio. Telecom Italia invece andrebbe oltre, fino alla separazione societaria. Sarebbe interessante conoscere piani operativi dettagliati e proiezioni di conto economico di una siffatta società per la rete.

Il sistema Italia
Compito del Governo è fare chiarezza su quanto gli compete: il presente e il futuro delle autorizzazioni generali e delle licenze date a Telecom Italia e a TIM fino al 2012. In base ad esse, Telecom Italia fattura il canone di accesso ai servizi, usa le frequenze e gli archi di numerazione, ha diritto a scavare per porre cavi, in contropartita dell’obbligo di fornitura del servizio universale. Il perimetro della nuova società di rete è tale da garantire che risorse adeguate vengano generate e impiegate, nel breve e medio periodo, per migliorare e completare servizio universale, innovazione e sviluppo tecnologico? Son questi i temi su cui il Governo deve ricevere precise informazioni e dare risposte. L’interesse pubblico da tutelare è che il Paese disponga di un sistema di comunicazione innovativo, efficiente, che copra l’intero territorio.

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