Contro il deficit cedere le Genco

giugno 20, 2001


Pubblicato In: Giornali, Il Sole 24 Ore


Conti pubblici

Una questione complicata” ha definito il Presidente del Consiglio il possibile aumento del deficit di cui si e’ fatto gran parlare nei giorni passati. L’espressione, riferita a un paese come il nostro con un debito di 2.500.000 miliardi, è sicuramente un understatement, che però gli ha permesso di rinviare di affrontare una questione spinosa. Che, tra aumento delle spese sanitarie delle regioni, minori gettiti da capital gain, rallentamento della crescita, questo “buco” ci sia, lo ammettono ormai anche diversi esponenti della vecchia maggioranza.

Quanto grande? L’indicazione di una cifra che sta tra i 10.000 e i 13.000 miliardi accennata dal Ragioniere Generale dello Stato, Monorchio, appare la piu’ credibile. Un aumento del deficit di uno 0,3 % del PIL, a metà anno, rappresenta un problema gestibile, in parte già solo controllando le spese e regolando i flussi di cassa. Ma è il momento politico ciò che fa della questione un problema di rilievo, il delicato passaggio del testimone dal vecchio al nuovo Governo: e proprio per questo è interesse di tutti risolverla presto.
E’ interesse del Governo poter partire libero da impacci e con i conti in ordine nella realizzazione del proprio programma.
E’ interesse dell’opposizione evitare che Berlusconi sfrutti l’argomento o per celare difficoltà nell’avviare i propri progetti o per appannare uno dei risultati più importanti della passata legislatura, la “storica” riduzione del deficit.
E’ interesse del Paese mantenere intatto, con un rigoroso rispetto degli impegni, il patrimonio di credibilità conquistato col sacrificio di tutti.

Quella che qui si suggerisce e’ una soluzione per reperire 13.000 miliardi di gettito aggiuntivo, con conseguenze positive per l’economia del paese. Una soluzione che inoltre consentirebbe al Presidente del Consiglio di colmare una vistosa lacuna nel suo discorso, in cui le parole “privatizzazioni” e “liberalizzazioni” non sono neppure state pronunciate. La soluzione consiste nell’utilizzare i proventi delle GenCo che l’Enel deve vendere.

13,000 miliardi sono il 65% di 20.000 miliardi, quindi proprio la quota di proprietà dello Stato di quanto grosso modo si stima possa ricavare l’Enel dalla vendita delle 4 GenCo, le tre previste dal decreto Bersani più la quarta richiesta dall’Antitrust come condizione per consentire l’acquisto di Infostrada. E’ sufficiente che l’Enel, di cui il Tesoro detiene la maggioranza assoluta, distribuisca i proventi come dividendo straordinario a tutti gli azionisti pro quota posseduta. Il profilo fiscale è ovviamente irrilevante, per lo Stato anche le tasse sono un’entrata.

E’ consentito destinare tale somma a riduzione del deficit anzichè ad ammortamento del debito pubblico? Formalmente a vendere le GenCo è l’Enel, una società privata e quotata, non il Tesoro, e per il bilancio dello Stato entrate per dividendi straordinari sono equiparabili a tasse. Se guardiamo invece allo spirito della legge che disciplina le dismissioni delle attività dello Stato, la vendita delle GenCo è una privatizzazione e quindi i relativi proventi dovrebbero andare a riduzione del debito. La scelta è politica. Lo scorso anno, su queste colonne, sostenni che era opportuno usare i ricavi per ammortare il debito. Oggi ci troviamo in una situazione di finanza pubblica e politica molto diversa; oggi prioritario interesse nazionale è da un lato non sprecare il capitale di credibilità costruito dai governi precedenti, e quindi restare tra i paesi virtuosi dell’euro; dall’altro non iniziare la legislatura con una sterile contrapposizione.
Resta un problema di tempi. Si é già accumulato un ritardo di un anno rispetto alla tabella di marcia originaria. Adesso ci sono due ricorsi al TAR del Lazio: quello delle municipalizzate contro il tetto posto dal governo alla partecipazione pubblica verrà discusso il 27 Giugno; quello dell’Enel contro la GenCo aggiuntiva imposta dall’Antitrust sarà discusso solo il 17 Ottobre. Questo secondo potrebbe far slittare tutto.
Sarebbe dunque utile se gli amministratori dell’Enel ritirassero il ricorso. In alternativa, potrebbero decidere che è conveniente per Enel ( e per i suoi azionisti, pubblici e privati) realizzare un pari valore vendendo di propria iniziativa altre centrali. Indottivi magari da una dichiarata volontà del nuovo Governo per una più spinta liberalizzazione, andando oltre il decreto Bersani.

In questo modo, rigore della finanza pubblica e liberalizzazione ancora una volta si darebbero la mano, non due scelte alternative ma due politiche sinergiche per rilanciare l’economia ed aumentare la competitività. Così è stato negli anni passati. Accanto alle cose che si vogliono cambiare, è bene non perdere di vista quelle che conviene tenere ferme.

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