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Condanna annunciata

Pubblicato il 12/12/1997 @ 16:39 in Giornali,La Stampa


Un aspetto importante dell’a­nomalia italiana è caduto: da oggi infatti chiunque vo­glia svolgere attività di collocamen­to, di mediazione tra domanda e of­ferta di lavoro potrà farlo alla luce del sole, e non nella semiclandesti­nità finora consentita dalla tolle­ranza dei giudici. La Corte di Giusti­zia del Lussemburgo, massimo or­gano giurisdizionale dell’Unione Europea, ha decretato che assicura­re il monopolio al collocamento pubblico, in quanto inefficiente, co­stituisce* abuso di posizione domi­nante: e ha condannato l’Italia per violazione della libertà di iniziativa garantita dal trattato di Roma.

Perché ci siamo fatti condannare? Perché i governi in carica hanno continuato a difendere una causa persa sul piano legale, sbagliata su quello politico? C’erano stati quat­tro anni per porvi rimedio: invece, sia il governo Berlusconi – sorpren­dentemente -, sia quello Prodi, no­nostante Treu prima di diventare ministro fosse intervenuto in senso contrario, tutti i governi hanno con­tinuato a difendere il monopolio pubblico.

Non è questa la sola contraddi­zione. Il collocamento nasce come un’attività gestita privatisticamente, si pensi solo all’Umanitaria a Mi­lano. Diventato pubblico sotto il fa­scismo, il collocamento fu appan­naggio dei sindacati socialcomuni­sti fino al ’49, quando Fanfani, al termine di una memorabile batta­glia parlamentare, espropriò le Ca­mere del lavoro di questa funzione politicamente cruciale e la attribuì al ministero.

Si parla di lotta alla disoccupazio­ne, ma si sa benissimo quali ne sono le cause: che per alcune di esse ­tassazione sul lavoro, rigidità nei li­velli salariali, ostacoli a licenziare ­rimuoverle urti interessi diffusi e pregiudizi radicati, è un dato di fat­to. Ma il collocamento? E’ evidente che quanti più sono i canali, quanto più sono professionali, tanto più probabile sarà che l’offerta di lavo­ro incontri una domanda: perché allora vietare il loro moltiplicarsi? Dove potevano farlo, imprese pri­vate hanno sviluppato tecniche so­fisticate per intervistare candidati, per sintetizzare profili professiona­li, per creare reti di distribuzione delle informazioni. Gli uffici di col­locamento invece lavorano con tec­niche di cinquant’anni fa, trovano lavoro attraverso di essi meno di cinque lavoratori su cento, e soltan­to nelle fasce professionali più bas­se.

E’ vero, il ministro Treu stava già abrogando il regime di monopolio con un decreto legislativo in forza di una delega contenuta nella legge Bassanini: ma la corporazione del ministero è riuscita a strappare un’ulteriore dilazione di un anno. Da un lato si riconosce l’utilità di attivare molti operatori, dall’altro si dice ai disoccupati di pazientare fino al 1999. Se basterà: perché la corporazione ministeriale vuole es­sere lei a realizzare e gestire la rete informatica nazionale, indispensa­bile perché tutti gli operatori vi ri­versino le loro informazioni. Ricor­dando il tempo e danaro sprecato nel «Teleporto del lavoro», c’è da scommettere che i disoccupati do­vranno attendere più a lungo.

Tutti sappiamo quanto contano le reti informali di conoscenze, pa­rentali o amicali, per trovare lavo­ro. Si tratta di moltiplicarle, di ren­derle professionali, di metterle in concorrenza tra loro. La rete infor­matica nazionale può essere creata in pochi mesi dai privati, sol che glielo si lasci fare. Basterà imporre il rispetto delle garanzie che indica­vo nel disegno di legge che ho pre­sentato in Senato otto mesi fa: pub­blicità dei profili professionali e riservatezza sui nomi, divieto di richiedere pagamenti ai lavoratori, diritto di accesso alla rete per tutti gli operatori e dovere di riversarvi tutte le informazioni. Continuerà ad esserci posto anche per il collocamento pubblico, se saprà valoriz­zare esperienze e professionalità: ma senza esclusive.

Per entrare in Europa – non cessa di ricordarcelo il commissario Mon­ti, ancora ieri sul Corriere della Sera – conta il rispetto dei parametri, contano gli enormi progressi fatti. Ma corriamo il rischio di «essere terra di conquista, considerata co­me un mercato supplementare an­ziché come un agguerrito produtto­re di beni e di profitti». Prodi può pur dire che con l’entrata nell’euro il suo compito è finito: in realtà da quel giorno il compito per il Paese è ancora più stringente. Tra le rifor­me strutturali elencate da Monti ­non tenere in piedi strutture pub­bliche inefficienti, incidere sulle ri­gidità del mercato del lavoro – la ri­forma del collocamento rientra a pieno titolo. Ad attuarla non è il ca­so di attendere neppure un giorno.

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