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Cominciano i giochi veri

Pubblicato il 26/09/1998 @ 16:49 in Giornali,Il Messaggero


Finalmente! A leggere stamane che Deutsche Bank ha comperato il 4,95 % di Comit, la prima reazione è stata di sollievo: adesso almeno c’è una cosa chiara. Da mesi il progetto di matrimonio tra Comit e Banca da Roma teneva banco ( arrossisco!): si fa, non si fa? E i listini oscillavano. Maranghi in visita a Palazzo Chigi: deve andare in pagina economica, o starebbe meglio in quella politica? Si descrivono partite a scacchi fino alla settima mossa in cui entrano HDP, Gemina, Compart, Montedison, Generali, Fondiaria, oltre alle due banche e, ovviamente, Mediobanca. Uno dei due presidenti taglia la mattina con un’ultimativa dichiarazione, l’altro chiude la sera con un comunicato di risentita nobiltà. Bisogna collegarsi a Nord; no, meglio espandersi a Sud; quale Sud, Roma o BNL? Lo vuole Romiti; lo vuole Agnelli; quale Agnelli?

Where is the beef?” mi chiedevo, ma non riuscivo a formarmi un’idea. Massimo rispetto per le ambizioni personali, sono anche loro a fare la storia; ma non avendo ragione di fare il tifo per nessuna delle parti in causa avrei preferito ragionare più che di organigrammi di vertice, di piani industriali: di cui invece si è parlato poco. Esitavo a chiedere informazioni direttamente, non volevo ottenere pettegolezzi.

Come sempre i giochi veri cominciano quando si calano gli assi: si sono diradate le nebbie delle dietrologie, le strategie non le fanno più i giornalisti, il problema appare in tutta la sua serietà. A metter fine al tormentone son bastati 700 miliardi: complimenti a Deutsche, niente da dire.
Deutsche Bank è già presente in Italia con la ex Banca d’America e d’Italia, poi con i fondi di Finanza e Futuro, poi con la……, se ora aumenta il suo investimento vuol dire che ha fiducia nel paese e nel modo di lavorare in questo paese. Ci toccherà sentir parlare di colonizzazione, mentre questo è il riconoscimento di un’integrazione avvenuta: la cultura economica di Piazza della Scala è la stessa della Taunusanlage. E se invece l’efficienza gestionale delle banche italiane – lo riconosce perfino la loro associazione – non è a livello europeo, i miliardi investiti saranno un concreto pungolo ad adeguarsi.

Forse stiamo davvero andando un passo dopo l’altro verso una semplificazione del quadro degli assetti proprietari: ci sono le banche e le assicurazioni, ci sono le imprese; e ci sono ( ci devono essere e quindi ci saranno) gli investitori istituzionali che gestiscono per conto dei risparmiatori i denari che essi intendono mettere in Borsa. E ci sono le banche d’affari che sono uno degli strumenti operativi delle banche, e quindi appartengono alle banche. 700 Mld non sono tantissimo, ma pensare che Deutsche Bank li spenda per fare un dispetto a Cuccia è sciocco e provinciale.

Se a Deutsche spettano i complimenti, ai protagonisti del tormentone tocca qualche riflessione. Alla bisogna provvederanno certamente quelli che, lamentando le vischiosità al cambiamento dei nostri assetti proprietari, puntano il dito sui gruppi familiari, sulle scatole cinesi, sui patti di sindacato, insomma sulle forme di controllo su cui si basa, nel bene e nel male, il nostro sistema di imprese: Potrò quindi limitarmi ad indicare il contributo che a questa lentezza danno le azioni delle pubbliche autorità.

Qualche mese fa Bankitalia non consentì alle Generali di portare la propria partecipazione nell’istituto milanese al 10%: fu quello un intervento che alterò il libero gioco del mercato. Ed è anche in conseguenza di quell’intervento se oggi Deutsche Bank può sparigliare un gioco così centrale buttando sul tavolo una fiche in fondo modesta. Che la sorveglianza di Bankitalia debba anche estendersi agli assetti proprietari non viene qui messo in discussione: ciò che si chiede è trasparenza sui criteri e sulla politica seguita. Analogamente, è stato a causa del freno imposto ad Allianz se oggi il maggiore azionista di una banca che Prodi aveva totalmente privatizzata è di nuovo un soggetto pubblico, cioè una fondazione.
Già, le fondazioni: soggetti pubblici, che amministrano patrimoni ma senza il controllo di azionisti, la cui ragion d’essere dovrebbero essere le opere di pubblica utilità, ma che sono gelosamente attente al potere finanziario, che difendono con incroci, holding, alleanze calibrate con pesi e contrappesi. Prima o poi anche per loro arriverà chi cala l’asso.

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