Cipro, vista da Franco Debenedetti

marzo 26, 2013


Pubblicato In: Varie


Intervista di Andrea Pira

“Alla 12esima ora il dramma cipriota è giunto all’epilogo: i 5,8 miliardi richiesti al settore privato cipriota accanto a quelli forniti dalla Troika, saranno ricavati da un prelievo sui depositi di valore superiore a 100mila euro nelle banche cipriote. Per pareggiare il conto il prelievo (tassa o confisca o sequestro, comunque lo si voglia chiamare) debba essere superiore al 20 per cento, qualcuno dice che potrebbe arrivare anche al 40 per cento”, ha spiegato Franco Debenedetti, manager, senatore e da pochi giorni presidente dell’Istituto Bruno Leoni, in una conversazione con Formiche.net, sullo stato della crisi cipriota.

Già da mesi si parlava della situazione sull’isola, tutto sembra essere stato lasciato all’ultimo momento. Com’è stato possibile arrivare a questo punto e da dove nasce la crisi?

“La spiegazione ufficiale è che la causa è un sistema bancario ipertrofico, 8 volte il PIL dell’isola: ma l’ipertrofia è un fattore che amplifica le conseguenze del disastro, non spiega quale potrebbe esserne la causa. Dicono che è perché si praticava il riciclaggio: ma di solito a riciclare si guadagnano molti soldi, almeno finché non si è arrestati e messi in galera. Federico Fubini sul Corriere della sera del 26 marzo cita le “sviste” che hanno portato all’emergenza: nel 2007 e 2008 l’ipertrofia era già evidente e la provenienza dai fondi ben nota, eppure Cipro fu ammessa nell’euro. Almunia si limitava a consigliare di controllare la spesa pubblica, e Trichet invitava alla moderazione salariale.

Nel 2011 l’EBA condusse gli stress test sulle principali banche dell’eurozona e le banche cipriote li superarono . Dopo quello che era già successo Islanda e Irlanda, e in qualche misura anche in Inghilterra e Svizzera, un rapporto della World Bank del 2011 metteva in guardia, rimarcando che, non avendo Cipro, a differenza di Islanda, Inghilterra e Svizzera, una propria banca di emissione ma essendo inserito, come l’Irlanda, nella eurozona, non sarebbe potuta uscire dalle difficoltà stampando moneta. Appare dunque evidente che quella di Cipro non è una tempesta che ha colto tutti di sorpresa”.

Qual è stato il meccanismo che ha fatto precipitare tutto?

“Il Financial Times fa notare che i livelli dei depositi dei non residenti a Cipro dipendono dal prezzo del petrolio; quando i prezzi del petrolio sono alti, i livelli dei depositi di non residenti nel sistema bancario cipriota aumentano. Questo legame si verifica attraverso società-scatola degli Stati dell’ex Unione Sovietica, che depositano a Cipro i saldi di transazioni originate dalle proprie sussidiarie attive in export di petrolio, minerali e metalli, per minimizzare l’impatto fiscale a mezzo di prezzi di trasferimento e altro.

La banca centrale russa classifica Cipro come la più grande fonte singola di investimento diretto estero (FDI) nella Federazione, con un totale di 41,7 miliardi di dollari di investimento diretto cumulativo nel settore non finanziario russo tra il 2007 ed il 2010 (oltre 2,7 volte i livelli tedeschi). Cipro è anche contata tra i maggiori investitori diretti esteri in parecchi paesi dell’Asia Centrale. Naturalmente questo denaro va investito, e le banche cipriote lo hanno fatto in larga misura in Grecia.

D’altra parte era lo stesso Athanasios Orphanides, lo stimatissimo banchiere centrale di Cipro, a permettere alle banche cipriote di investire in titoli di Stato di Atene, nonostante l’enorme squilibrio dei conti con l’estero della Grecia”.

Come giudica la risposta delle autorità europee?

Banche che la BCE aveva dichiarato sistemicamente importanti risultano tecnicamente insolventi. Interviene la Troika, disposta a mettere 10 miliardi di euro ma, come è invalso da Deauville in poi, esige che anche i privati paghino una parte del costo del salvataggio: 5,8 miliardi di euro è il prezzo richiesto. Chi è stato che ha suggerito al vertice europeo la brillante idea di tassare tutti i depositi al 6 per cento? Pare sia stato il Ministro delle finanze tedesco Schaeuble, ma oggi tutti disconoscono quella paternità. Il parlamento cipriota insorge, boccia la proposta; Putin qualifica l’intervento come unfair, non professionale e illegale. Mette un dito nell’occhio alle istituzioni europee, ma quanto a dare aiuti è un altro discorso.

Il piano alternativo del parlamento cipriota prevede di rifinanziare le banche con un apposito fondo, definito “di investimento”, alimentato dai soldi del fondo pensioni, dal valore di aziende pubbliche che si potrebbero vendere, dai ricavi dal gas che si potrebbe estrarre. Non stava evidentemente in piedi, e così si è arrivati al taglio (tassa o sequestro o rimborso) per i conti bancari di importo superiori a 100mila euro, naturalmente in misura molto più consistente del 6 per cento ipotizzato all’inizio su tutti i conti”.

Una soluzione che per primi scontenterà i russi?

“Certo. E non sono solo i russi, ma anche tutti i partecipanti all’attività finanziaria che si era formata intorno ad essa. Compresi i parlamentari che hanno votato contro il piano della Troika. E’ stato fatto notare che a Cipro i parlamentari non devono rendere pubblici i loro patrimoni personali. A pensar male…”.

Sono queste le difficoltà ad arrivare a un accordo o c’è anche dell’altro?

“Ci sono gli interessi diversi e anche contraddittori di tutte le parti in causa. Alla Russia interessano porti e gas ciprioti, ma temono tensioni con la Turchia: metà dell’isola ha un governo sotto l’influenza di Ankara. Angela Merkel non vuole andare alle elezioni con un simile problema aperto, ma non può chiedere ai suoi elettori di pagare di tasca loro le vacanze dei pensionati inglesi, men che meno quelle degli oligarchi russi. La BCE ha dichiarato sistemiche le banche cipriote, ma se interviene per salvarle aumenta ancora il proprio profilo politico.

Gli Euroscettici dicono che Cipro è piccola e varrebbe la pena provare a vedere che cosa succede lasciandola al suo destino, gli euroentusiasti temono che se cade un tassello tutta la costruzione finisca per crollare. I ciprioti sanno che sono loro ad avere gonfiato la bolla ma che lo spillo che l’ha sgonfiata sono le (in)decisioni europee per il default greco.”.

Alla fine l’Europa ha dimostrato, sebbene all’ultimo, di essere capace a superare gli ostacoli?

“Si, ma pagando prezzi elevati. Il primo è quello di avere fatto concretamente constatare a tutti i risparmiatori, in tutti gli stati dell’eurozona, che i depositi bancari possono non essere sicuri, e che l’assicurazione europea per quelli fino a 100mila euro non è a prova di default.

È vero che non è successo, ma tutta l’Europa, a incominciare dal ministro Schaeuble, l’ha proposto, se i ciprioti non scendevano piazza, l’avrebbero fatto. I risparmiatori non lo dimenticheranno facilmente: noi a 20 anni di distanza ancora imputiamo ad Amato quel 6 per mille prelevato in una notte. E qui era il 6 per cento.

Inoltre si è visto che anche un caposaldo su cui poggia la costruzione europea, la libera circolazione del capitali, può essere messo in discussione. A Cipro è ancora in vigore.

Ma la cosa più grave è si constata che non esiste una politica europea di salvataggio: e che non ci può essere. Cipro ha oggi un rapporto debito/Pil del 90 per cento: con l’intervento di 17,5 miliardi di euro il rapporto arriverà al 180 per cento, un valore insostenibile. Alla Spagna sono stati messi a disposizione 100 miliardi di cui 40 sono stati utilizzati. Per le proporzioni di quello dato a Cipro, sarebbe stato di 1000 miliardi: questo dimostra che la politica di salvataggio non è “scalabile”, ma che dipende dalla dimensione del problema. Si possono salvare paesi piccoli, Irlanda Portogallo Grecia, se Francia e Germania sono disposte a farlo. Ma non c’è nessuna alleanza di Paesi dell’eurozona che sia in grado di assumersi i rischi di credito dei sistemi bancari dell’Italia o della Spagna.

Una politica non “scalabile” è una politica discrezionale, dove caso per caso si decide secondo criteri politici e valutazioni finanziarie. Come nota il deputato della FDP Frank Schaeffler, così cade il pilastro centrale dello stato di diritto, in cui tutti hanno lo stesso diritto di fronte alla legge. Già l’Irlanda reclama che le casse europee finanzino retroattivamente la ricapitalizzazione delle loro banche, e il Portogallo chiede tassi più bassi. E anche per Cipro, dato che il piano di salvataggio porterebbe a un indebitamento insostenibile, già si parla di ricapitalizzare le banche il danaro pubblico dell’ESM, nonostante si siano sprecate le assicurazioni che questo non sarebbe mai avvenuto.

Perfino all’interno della squadra di intervento, la Troika di Unione europea, Fondo monetario internazionale e Banca centrale europea, si sentono scricchiolii: l’atteggiamento di Christine Lagarde viene definito “da ayatollah” rispetto a quello più politico della Ue e a quello di mediazione della BCE”.

Come giudica alla fine i risultati?

“Quello che impressiona è il cumularsi degli errori. Dalla “passeggiata di Deauville”, al default mascherato della Grecia, adesso a quello di Cipro che ne è la conseguenza, alle misure di austerità imposte all’Italia (e da noi eroicamente accettate) che stanno portandoci dalla recessione alla depressione. Non c’è da stupirsi se all’idea che “più Europa” sia la soluzione dei problemi siano sempre in meno a crederci”.

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NON SCHERZATE CON IL FUOCO

di Carlo De Benedetti
Il Sole 24 Ore – 26 marzo 2013

È senz’altro un bene che l’accordo finale su Cipro non contempli il prelievo sui depositi bancari sotto i 100mila euro, ma non basta questo ripensamento a diradare la nebbia del dubbio su come è stata gestita questa crisi e sulla stessa soluzione che alla fine è stata individuata. Trovo quanto meno bizzarro che dopo aver immesso centinaia di miliardi di euro nella crisi greca, l’Unione europea e il Fondo monetario internazionale abbiano di fatto negato a Cipro un intervento da 10 miliardi, a meno di un prelievo forzoso sui conti correnti. Un diktat assurdo, anche in considerazione del fatto che proprio il collasso greco è stato la causa principale delle difficoltà delle banche cipriote, che avevano largamente investito nel Paese ellenico dopo l’ingresso nell’euro nel 2008.

Cipro, in qualche modo, è vittima della Grecia e, soprattutto, dei falliti tentativi da parte della trojka di evitare lo scivolamento di Atene verso il disastro.
Certo Cipro non è la Grecia, per dimensioni, peso politico, Pil. È stato notato che la Cina crea, in termini di prodotto, una Cipro ogni settimana. Ma la crisi di questa piccola isola può avere effetti non meno gravi sul sistema dell’euro. Vanno sempre ricordate le origini della grande crisi finanziaria di questi anni. Quando nel giugno 2007 falliscono due piccoli hedge fund di Bear Sterns che investivano in real estate, pochi capiscono quello che sta per succedere. Nove mesi dopo, però, nel marzo del 2008, salta Bear Sterns e dopo altri sei mesi tocca a Lehman Brothers. La crisi diventa in breve tempo sistemica. È l’esempio di come piccoli eventi possono produrre, con il diffondersi della paura, danni molto più estesi.
È con questa consapevolezza che bisogna guardare al caso di Cipro. Nel cuore della crisi che stiamo vivendo, diffondere incertezza circa la capacità delle banche di restituire i depositi può produrre danni generalizzati e molto ampi. Non è un caso che negli Stati Uniti e in Europa siano previste assicurazioni per i correntisti, rispettivamente fino a 250mila dollari e a 100mila euro. «Safe» and «sound» sono le parole che spesso si usano per attirare i depositi. Cosa può accadere se i risparmiatori e le imprese capiscono che quei depositi non sono più né «safe» né «sound»?

Negli Stati Uniti la Fed in questi anni ha sempre enfatizzato la sicurezza dei depositi. Dopo il collasso di Lehman il governo federale ha offerto un’assicurazione speciale su tutti i depositi, senza soglie massime e senza interessi. Immaginate solo cosa succederebbe se negli Usa o in uno qualunque dei principali Stati europei si diffondessero rumors su un prelievo del 10% sui depositi. La corsa agli sportelli sarebbe inevitabile, le banche chiuderebbero per giorni, imprese e famiglie cesserebbero di fare pagamenti. Il collasso per tutta l’economia occidentale sarebbe immediato.
Se questo è il rischio, perché i leader europei, dopo aver speso una fortuna in altri salvataggi, nel caso di Cipro non mollano l’ipotesi della tassazione dei depositi, seppure con una soglia più alta rispetto alle prime ipotesi? C’è certamente la comprensibile volontà di far pagare anche chi, da fuori dell’Europa, ha sfruttato con disinvoltura questo piccolo paradiso fiscale in zona euro (ricordiamo sempre che a Cipro i depositi sono arrivati a 93 miliardi di euro, otto volte il Pil, e appena un terzo fa capo a soggetti residenti).
Comprensibile, certo, ma allora qualcuno dovrebbe spiegare come è stato possibile tollerare che si sviluppasse un paradiso fiscale, utile a ogni riciclaggio, nel cuore dell’Europa. E qualcuno dovrebbe anche giustificarsi per i ritardi nell’Unione bancaria, con il suo corollario di mancata vigilanza e regole comuni.

Ma la verità è che dietro quella scelta c’è ancora una volta il prevalere degli interessi nazionali sulle convenienze comuni, le Nazioni prima dell’Europa. C’è la scarsa lungimiranza di chi in Germania, vedendo avvicinarsi le elezioni, vuole dare segnali di intransigenza al proprio elettorato. Cosa di meglio, allora, che mostrarsi severi con la piccola Cipro, con i suoi poco graditi ospiti russi?
E tuttavia dare il messaggio che in Europa i depositi non sono sicuri, significa giocare con il fuoco. Soprattutto in Paesi come il nostro e come la Spagna, che già vedono sistemi bancari in grande sofferenza, l’impatto può essere disastroso. E non ci sarebbe riparo, a quel punto, in nessuno dei paesi dell’euro.
Il mondo ha bisogno di sapere che per il risparmio c’è almeno un luogo sicuro. Se non vogliamo pensare che quel luogo sia il materasso di casa, almeno sui depositi dobbiamo mettere uno scudo sicuro.
P.S.: Nessuno ci ha detto quando e se a Cipro verrà ripristinata la libertà di movimento di capitali.

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