Ci serve un riarmo morale

settembre 13, 2001


Pubblicato In: Giornali, La Stampa


Che cosa fare dopo l’11 Settembre?

Che cosa possiamo fare noi?
Se è vero che l’11 Settembre è cambiato il mondo, che le conseguenze toccheranno la vita di tutti noi, allora il problema di che cosa fare non è solo di chi ha il potere politico ed economico, è quello di proteggerci non solo degli apparati di sicurezza, ma riguarda anche ciascuno di noi, individualmente.

Si è ridotta la libertà dal pericolo: per proteggere le nostre vite costruiamo edifici, servizi, aerei più sicuri; ma il disprezzo che i piloti suicidi hanno della propria vita ci contagia, ci obbliga ad accettare che da adesso in avanti la nostra vita abbia un maggior grado di precarietà.
Si è ridotta la libertà dal bisogno: la recessione mondiale in cui con ogni probabilità piomberemo ci renderà tutti più poveri; e centinaia di milioni di persone che grazie alla globalizzazione degli scambi stavano uscendo dalla povertà, vedranno allontanarsi la prospettiva di affrancarsene definitivamente.
Si è ridotta la libertà di usare del mondo, di spostarsi liberamente e facilmente, senza barriere, per trovare opportunità di lavoro, di conoscenza, di svaghi.
Dobbiamo difendere quello che ci è rimasto, i nostri valori, il senso di giustizia, l’esigenza di equità, il bisogno di fratellanza. Per proteggerli ci vuole un riarmo morale. Non possiamo più essere indulgenti con idee sbagliate, comprensivi con i cattivi maestri che le diffondono. Proprio per non perdere i valori di fondo su cui si fonda la nostra libertà e la nostra civiltà dobbiamo irrigidirci contro le ambiguità, le compromissioni che si accompagnano a certo terzomondismo.
Con le immagini del disastro negli occhi, cambiano le prospettive, si devono fare più netti i giudizi. Certi slogan che abbiamo sentito scandire, certe teorie a cui abbiamo prestato paziente ascolto sono diventati lussi che non possiamo più permetterci. Quello di chiedere una sentenza e di esigere un indennizzo dai giudici di oggi per lo schiavismo di due secoli fa, si rivela un assurdo diversivo di fronte alla priorità di isolare senza riserve e di perseguire senza complicità chi oggi ha fatto morire in pochi minuti migliaia di innocenti. Quella di osteggiare e combattere le organizzazioni e le imprese che dànno lavoro e producono ricchezza appare, di fronte alla prospettiva di una lunga crisi economica mondiale, un’aberrazione verso cui non mostrare indulgenza.
E, per dirla tutta fino in fondo, non sono possibili compromessi con quelli che, da noi, non hanno provato più ancora che sdegno, una radicale alterità e una totale separatezza, istintiva e razionale, dalle scene di giubilo nei territori palestinesi.

Gli antropologi ci ricordano che il genocidio è una caratteristica del genere umano, una costante che ne accompagna tutta la storia, fin dagli albori del suo apparire sulla terra. Il rischio di imboccare una strada di autodistruzione appare oggi meno improbabile, e i modi per difendersi più incerti. Ai servizi il compito di trovare i colpevoli e i mandanti, ai governanti quello di ricercare soluzioni stabili e non perseguire la vendetta, nessuno teorizza lo scontro di civiltà, cristiana contro musulmana. Ma c’è qualcosa che spetta a noi individualmente. Di un riarmo morale per difendere i valori di fondo della nostra libertà è responsabile ciascuno di noi.

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