Che cosa resterà del Cav.?

dicembre 14, 2010


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di Luciano Cafagna

Gli anni di Berlusconi alla prova degli storici

E’ difficle ipotizzare come lo storico futuro potrà considerare Berlusconi e la vicenda berlusconiana nella storia politica del nostro Paese se non si conoscono anche le conclusioni di questa vicenda. (…) Se mi si chiedesse quanto resterà in futuro dell’immenso chiacchericcio relativo a quello che in questa età berlusconiana è stato chiamato il gossip mediatico di stampa, televisione e rete, risponderei senza esitazione che non resterà assolutamente nulla. (…)

Ritengo infatti che le questioni che interesseranno lo storico futuro saranno poche ed essenziali. E riguarderanno probabilmente assai più le ragioni dell’affermazione e del successo del personaggio che non lo sterminato bavardage che ha accompagnato questo successo.
Berlusconi riempì improvvisamente il vuoto che nella politica italiana si era creato a causa della complessa crisi che nel nostro sistema politico era seguita alla caduta del Muro di Berlino. (…) La comparsa di Berlusconi sulla scena fu certamente una sorpresa che rivelava un cambiamento nelle scelte di massa; questo costituirà ancora per molto tempo un problema da chiarire per gli storici. Si è spessp voluto spiegare con insistenza questo fenomeno con la moltiplicazione dei media televisivi privati.

Invece io non credo che abbia avuto poi molta influenza il fatto che il nuovo candidato alla leadership avesse già una presenza nel mondo dell’informazione, attraverso le sue reti televisive. Piuttosto il caso che il nuovo imprenditore lavorasse in un ambito – quello televisivo – così attinente alla vita quotidiana, gli diede enorme popolarità, assai più di quanto non abbiano contato le sue apparizioni direttamente sugli schermi.
Quel suo successo s’intrecciò con la rapida cooptazione di ancora perfettamente funzionanti frammenti dei disfatti partiti democristiano, socialista e liberale. Il fatto che il personaggio non avesse precedenti politici certamente contribuì a dargli credibilità. Paradossalmente la campagna moralistica degli anni precedenti contro i vecchi partiti di governo, che era stata intenzionalmente volta a vantaggio della sinistra ideologica non governativa, andò tutta a favore dell’ «uomo nuovo», estraneo alle formazioni politiche sia di destra sia di sinistra e, in sostanza, alla politica stessa. Il clima in cui si forma il successo di Berlusconi è quello dell’antipolitica, che nasce in quegli anni sulla base della «questione morale» e del disgusto provocato da Tangentopoli. (…)
Lo storico futuro saprà quello che noi non sappiamo ancora e come potrà aversi davvero un passaggio da una Prima a una Seconda Repubblica. In effetti quella che Pietro Scoppola volle definire la «repubblica dei partiti» cambia fisionomia con la svolta che consegue alla caduta del Muro di Berlino: i nuovi partiti che nascono successivamente sono per struttura e funzione qualcosa di molto diverso. Danno, sì, vita anch’essi a delle oligarchie, ma con caratteristiche che non sono più quelle della struttura «partitica». Nel caso dei partiti berlusconiani (dapprima Forza Italia e poi Popolo della libertà), abbiamo delle strutture addirittura quasi proprietarie, comunque a comando fortemente personale e che tendono a stabilire con l’elettorato un rapporto populistico di tipo sudamericano. Un’influenza, l’impostazione populistica del berlusconismo è poi riuscita ad averla forse anche sul fronte avverso: qualche formazione minore di opposizione, come l’Italia dei valori di Di Pietro, si presenta infatti con uno speculare carattere personalistico.
Forse la stessa trovata dell’introduzione di «consultazioni primarie» del Partito Democratico risente di un’influenza populistica della stesso tipo. Il processo attraverso il quale Berlusconi riuscì, poi, a rilegittimare la formazione politica del vecchio partito di Almirante da un lato, e ad aggregare a sè – questo un pò più faticosamente – la novità del municipalismo settentrionalista, sarà certamente oggetto di ricerche degne d’interesse, anche perchè, in fondo, coinvolge fenomeni sociologici e politici che, utilizzati dal presidente del consiglio, hanno però un loro autonomo rilievo storico.
Probabilmente, però, il problema più drammatico dell’età berlusconiana apparirà quello del rapporto con le opposizioni, caraterizzato sempre più da un’asprezza senza pari e da una tendenza crescente alla delegittimazione reciproca. Il fenomeno dell’antiberlusconismo, pur diverso, potrà apparire di consistenza non dissimile da quella dell’anticomunismo di molti decenni prima.
Lo studioso degli anni a venire saprà se quella pericolosa e anomala dicotomia sarà a un certo punto superata, e in che modi e a quale prezzo. (…)
Forse il campo dell’azione nel quale Berlusconi è stato più creativo è quello della politica estera. Potrà pure darsi che egli sia stato, per così dire, fortemente attratto dalla possibilità di collegarvi interessi personali – come qualcuno insinua – ma certamente il modo in cui ha affrontato in politica estera il problema del rifornimento energetico italiano (Russia e Libia) ha caratteri effettivamente originali. (…)

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