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Cento anni di Confindustria. Il potere costa

Pubblicato il 04/05/2010 @ 13:00 in Giornali,Vanity Fair


da Peccati Capitali

Ogni paese ha le sue industrie, e quindi la sua Confidustria: la nostra, che compie 100 anni nel 2010, ha particolarità che la distinguono dalle sue consorelle. Ad una manco più ci facciamo caso: è suo “il” giornale economico italiano, il Sole24Ore, mentre il Financial Times è del gruppo Pearson, che aveva anche Les Echos prima di cederli a Arnauld, il Wall Street Journal è di Murdoch, Handelsblatt dell’editore Holtzbrinck.

La distinguono i suoi convegni primaverili, attesi come eventi politici. A Parma nel 2001, la scivolata di Francesco Rutelli su una frase in inglese segna il destino di una campagna elettorale
sfortunata; a Verona nel 2006, col memorabile show di Berlusconi parte l’epica rimonta su Prodi; sempre a Parma, quest’anno Berlusconi lancia il programma per la seconda parte della legislatura.

Potere singolare, quello di Confindustria. Rappresenta ecumenicamente tutte le categorie di industriali: ma per fare lobby è necessario essere specifici e mirati. E’ controparte “sociale” dei sindacati: ma, archiviato il modello fordista, un accordo Agnelli Lama sul punto unico di contingenza sarebbe impensabile (per nostra fortuna). Un tempo isola degli industriali privati quando attorno nuotavano gli squali delle Partecipazioni Statali, ora accoglie ENI, Enel, Finmeccanica, controllate dallo Stato, Ferrovie e Poste, che più statali non si può. Il fatto è che le quote associative sono calcolate sul numero di addetti; quelle sono aziende grosse, e Confindustria è una grossa macchina, con importanti strutture periferiche e centrale. Il potere costa.

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